Quattrocchi

Era il terzo anno di scuola elementare. Tutti i giorni, non appena tornavo a casa, correvo in cameretta a fare i compiti mentre aspettavo che cominciasse BimBumBam. Aprivo il mio diario e controllavo il numero delle pagine che avevo trascritto, quindi aprivo il Sussidiario e cercavo gli esercizi presenti alle pagine riportate sul diario. Capitava spesso e volentieri che a quelle pagine non ci fosse un bel niente, e che quindi mia madre, inferocita, chiamasse la madre di una mia compagna di classe per farsi dare i numeri di pagina corretti. Io, neanche a dirlo, ogni volta mi sentivo mortificata, anche perché ero sicura di aver copiato sul diario esattamente ciò che avevo letto alla lavagna. Peccato che ciò che leggevo non corrispondesse alla realtà (ma in quel momento ancora non lo sapevo). Per quasi un anno continuai a riportare sul diario le pagine sbagliate degli esercizi, e non era un caso che pure alle espressioni di matematica mancasse sempre qualche pezzo o che un numero fosse confuso per un altro. Nessuno si pose il problema di indagare sulla cosa, ne tanto meno lo feci io che avevo 9 anni e che mi fidavo di ciò che mi dicevano maestre e genitori:”in classe non sei attenta. Sei sempre distratta, ecco perché sbagli quando copi dalla lavagna. Non sei buona neanche a ricopiare”. La cosa strana era che nelle materie linguistiche, dove non c’era niente da “copiare”, me la cavavo piuttosto bene. Per mia fortuna, a quei tempi nelle scuole elementari ancora si facevano i vaccini e i controlli della vista. Miopia -0,50 gradi fu il mio responso. Non potevo crederci: avrei dovuto portare gli occhiali. E i miei genitori me li comprarono pure, ma mi stavano così male che non li misi mai, e i miei non si dettero pena affinché li portassi. Nessuno mi aveva spiegato niente, e ai tempi Google ancora non c’era, pertanto continuai imperterrita a non mettere gli occhiali e ad affaticare ulteriormente i miei occhi già deboli, tanto che nel giro di un anno e mezzo persi un’intero grado per ciascun occhio. Non contenta, proseguii per quella strada fino alla fine delle superiori, quando dovetti smettere di giocare a pallanuoto perché i miei -2,50 gradi di miopia (a cui intanto si era aggiunto pure un po’ di astigmatismo), a stento mi permettevano di vedere arrivare la palla ad un palmo dal naso. Così mi rivolsi ad un oculista e cominciai a portare le lenti a contatto, tutti i giorni per circa 4 anni. Presi un bello spavento quando i miei occhi cominciarono a mal sopportare le lenti, e fu l’ottico a spiegarmi che, se volevo evitare di sviluppare un’intolleranza definitiva, avrei dovuto alternare le lenti agli occhiali. E così alla fine dovetti cedere. Ho sempre pensato che gli occhiali mi stessero malissimo, di non avere affatto la “faccia da occhiale”, (e tutt’ora lo credo), ma mi sono dovuta rassegnare a portarli per almeno 5 giorni su 7. Ogni volta che devo andare a comprarne un paio, provo tutti quelli presenti nel negozio e alla fine scelgo quelli che mi consiglia mia sorella (fosse per me uscirei a mani vuote perché mi sembra che mi stiano male tutti). Che poi, se devo essere sincera, col tempo sono riuscita a trovargli pure qualche aspetto positivo: la mattina, con gli occhi ancora semichiusi, mettere le lenti è sempre stato un po’ traumatico, mentre con gli occhiali è una passeggiata; e pregio ancora migliore, mi proteggono dal mondo. Quando porto gli occhiali penso di essere brutta, e che di conseguenza nessuno mi guardi. Quando porto gli occhiali, è come se indossassi uno scudo che cela la mia anima, come se le emozioni non trasparissero dai miei occhi, o meglio come se non potessero andare al di là di quei due vetri ormai irrimediabilmente graffiati. Eppure la cosa che preferirei in assoluto, sarebbe andare in giro senza lenti e senza occhiali, con la vista offuscata e appannata, privata della possibilità di vedere il viso e le espressioni della gente. Questo mi regala molta più libertà di quanta non ne senta nella quotidianità. Lo so, è una cosa assurda, e neanche io me la so spiegare a pieno. È come se il fatto di non vedere il mondo che mi circonda, mi nascondesse ad esso (ma è palese a tutti che in realtà accade esattamente il contrario: sono io a non vedere il mondo, ma il mondo mi vede benissimo). È un po’ come quando si resta soli in casa e ci si sente liberi di fare cose che col resto della famiglia non faremmo. Infine, concorderemo tutti che avrei bisogno di un buon psicanalista che però al momento non posso permettermi. Grazie per aver ascoltato la mia storia sconclusionata e per farmi sapere, quando ne avrete voglia, che rapporto avete con i vostri occhiali. Magari esiste un’altra anima pazza e sconclusionata come la mia da qualche parte là fuori.