Neo-mamme e consigli non richiesti

Ebbene ci siamo. Siamo già al punto in cui non ne posso più dei pareri della gente su come dovrei gestire mia figlia (che è nata solo 4 mesi fa).

“Ormai l’hai abituata alle braccia” – “Quando inizi a svezzarla?” – “Devi darle un pochino d’acqua” – “Non gliel’hai messo il cappellino?” – “Se si abitua a stare solo con te, poi non vorrà stare con nessun altro” – “Quando la battezzi?”

Posso fermarmi qui vero? Tanto le cose sono sempre le stesse, trite e ritrite da generazioni. Chissà se la mia generazione (quella della fine degli anni 80) lascerà ai posteri la libertà di gestire i propri figli come meglio credono, utilizzando un po’ di intelligenza e informandosi sulle rinnovate conoscenze scientifiche anziché riproporre le vecchie credenze ormai senza più fondamenta.

“Ho cresciuto uno/due/tre/quattro figli, so quello che dico”. Per l’amor del cielo, ci credo, ma lasciami libera di fare ciò che credo meglio per mia figlia, a meno che non sia io a chiedere un consiglio. Sembra di chiedere la luna. A volte, se non sono sfinita, controbatto:”fino ai 6 mesi non va data l’acqua ai neonati, il latte è sufficiente a coprire tutto il loro fabbisogno di acqua e sostanze nutritive. E non lo dico io, lo dice l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità). Dare da bere al bambino acqua o altri liquidi può compromettere la produzione di latte, diminuire l’apporto di nutrienti e aumentare il rischio di malattie infettive. E cosa mi sento rispondere? “Vabbè ma tu daglielo lo stesso un cucchiaino d’acqua ogni tanto, io ai miei figli lo davo e sono cresciuti benissimo”. Ok, mi arrendo. Faccio sì con la testa e cambio argomento.

Nel 2023 vogliamo smetterla una volta per tutte di dare opinioni non richieste? Il discorso vale in generale su qualsiasi argomento, ma in particolare trovo che il tema “maternità” sia estremamente delicato in ogni sua fase. Forse, peggio che dare consigli ad una neo-mamma, c’è soltanto la domanda:”ma voi quando lo fate un figlio?”. Lì rabbrividisco.

Lo so che nonni, zii, amici e conoscenti non lo fanno con cattiveria, e anzi sono convinta che pensino seriamente di dare una mano, ma non è così, ed è giunto il momento di ribellarsi, a costo di far rimanere male qualcuno.

Sarebbe divertente, per sdrammatizzare, fare un libricino con la lista di tutti i pareri e i consigli non richiesti da regalare per Natale!

La fine dei vent’anni

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Non so se capiti a tutti di subire una battuta d’arresto intorno ai trent’anni, ma a me certamente sta accadendo e non so davvero se riuscirò a ripartire.

Per me è tempo di realizzare che non salterà fuori alcun super potere che non pensavo di avere, nessun talento nascosto in grado di rendermi ricca e famosa, nessuno zio d’America che possa lasciarmi in eredità il suo impero milionario. Tutto ciò che ho (ammesso che qualcosa ci sia), l’ho ottenuto con le mie sole forze, nessuno mi ha mai regalato niente, e se quello che vorrei davvero è ancora lontano, significa che non ci ho creduto abbastanza o che la strada che sto percorrendo non è quella giusta. 

E’ dura fare i conti con un tempo che sembrava infinito, che mi faceva sentire così potente da poter rimandare qualsiasi cosa, e che invece adesso si mostra per quello che è veramente: qualcosa di effimero e che non ho mai davvero posseduto. 

Inizio a chiedermi chi sono diventata, se ho rispettato i sogni e le speranze della bambina che ero. Ma se me lo sto chiedendo, forse la risposta è no. 

Sono solo in parte d’accordo con quelli che portano alta la bandiera del “Se vuoi, puoi”, perché credo più fortemente che ci sia un tempo per tutto. Ad esempio: ho sempre pensato che sarei diventata madre prima dei trent’anni, non tanto per l’idea della famiglia in sé, quanto perché adoro i bambini e ciò che mi fanno provare. Adesso che di anni ne ho 33, di figli neanche l’ombra; vuoi perché la vita che avevo costruito è andata a rotoli, vuoi perché la nuova vita ha bisogno dei suoi spazi, vuoi perché non mi sento ancora pronta a dedicare ad un altro essere umano ogni cellula del mio corpo ed ogni istante delle mie giornate. 

Sarà che sulle cose ci rimugino troppo, sarà quel che vi pare, ma reputo che certi passi siano talmente importanti da necessitare tutta l’attenzione e la riflessione di cui sono capace. Il problema poi è che per quanto io tenti di pianificare (anche solo sommariamente) gli anni che spero di avere ancora davanti, ecco che l’ansia arriva a mettermi pressione. “Perché aspettare ancora? Una casa e un lavoro ce li hai, una persona che ami e che ti ama pure, di cos’altro hai bisogno?”. “E se poi quando provassi ad avere un figlio scoprissi che non puoi averne?”. “Tra sette anni sarai una quarantenne, e allora un figlio potrai pure scordartelo”. 

Come dare torto alla mia ansia?

Spero non me ne voglia, ma la questione è ancora più complicata di così. 

Sono sempre stata una persona viva e attiva, passionale ed istintiva (non che l’istintività sia necessariamente una buona cosa, ma certamente mi caratterizzava). Ho sempre sentito dentro un fuoco ardente, una fontana zampillante in grado di spingermi ad essere curiosa, a creare, sperimentare, imparare. Ma da qualche tempo a questa parte è come se quella fiamma avesse perso forza, come se non ci fosse più niente a spingermi in avanti. E così adesso mi ritrovo qui, in questo preciso istante, a parlare con me stessa e a chiedermi:”Cosa c’è che non va? Cos’è che ti manca?”.

Forse speravo che sarei diventata “qualcuno”, che avrei fatto della mia vita una gran meraviglia, e dover fare i conti con una quotidianità del tutto anonima e priva di brio mi ferisce più di quanto qualsiasi altra cosa possa fare. 

Quindi aveva ragione mia madre quando mi diceva che non avrei mai combinato niente di buono. Quando le annuncia che mi sarei iscritta all’università, mi disse senza mezzi termini:”Che studi a fare? Tanto cosa vuoi combinare tu?”.

E solo adesso mi rendo conto di essermi spinta nella direzione opposta a quella che sarebbe stata consona per me. Pur di allontanarmi da lei (e di non diventare come lei) ho fatto esattamente ciò si aspettava, diventando ciò che mi hai sempre accusato di essere: un’inutile, una “mezzoservizio”, un’idiota, una “mammalucca”. 

Avrei voluto studiare architettura, o magari psicologia. Avrei voluto aprire un blog di successo, avere tanti amici, sposarmi e avere almeno due figli con la persona che avrei avuto accanto per la vita. E invece la mia realtà non somiglia affatto ai sogni che avevo fino a qualche anno fa.

Complimenti mamma, hai vinto. So che la cosa non ti tocca minimamente, ma in ogni caso non è con te che ce l’ho. 

Per rialzarmi dovrei solo riuscire a perdonare me stessa per la persona piena di dubbi e paure che sono diventata. Vorrei ripetermi che c’è ancora tempo, che c’è ancora spazio, che se mi impegno e comincio ad amarmi posso davvero cambiarla questa vita, anche se i vent’anni sono andati.

Il problema è che per farlo dovrei almeno crederci. Almeno un po’.

Qualcosa dovremo pur fare

sgridare

Vi avviso: questo sarà un post un abbastanza polemico. A mia discolpa, posso dire soltanto che non si tratterà di una polemica sterile; la definirei piuttosto “propositiva”…o almeno così mi piace pensare.

Mi vado subito a spiegare. Ogni volta che durante il mio giorno di festa decido di restarmene a casa (per fare qualche lavatrice, suonare, leggere o semplicemente poltrire mentre guardo Netflix), non passano mai troppe ore prima che arrivi a pentirmene amaramente.

Dovete sapere che sono una persona poco tollerante nei confronti delle situazioni troppo chiassose (specialmente se protratte per lunghi periodi di tempo) e dei rumori molesti. Colpa mia e di nessun altro, ma tant’è, devo cercare di convivere col mondo circostante senza far vincere il mio istinto di piazzare una bomba e far esplodere tutto. Faccio questa precisazione per riuscire a spiegare al meglio il nervosismo che mi assale mentre sto leggendo tranquillamente, e salto letteralmente sulla sedia all’ennesimo urlo di Tarzan lanciato dalla mia vicina alle figlie di uno e 6 anni.

Io un po’ la capisco, perché gestire due bambine piccole non è proprio una passeggiata di salute, e quindi una bella sgridata come si deve, se fatta nei momenti giusti, è davvero quello che ci vuole. Ma quello che non capisco è come si possa riuscire ad urlare settecento volte al giorno, ogni giorno della settimana, senza alcuna interruzione. A dire il vero un giorno di risposo se lo prende: la Domenica, lo stesso giorno del Signore, perché il marito resta a casa dal lavoro e lei si guarda bene dal mostrargli il modo nient’affatto amorevole con cui sta crescendo le loro figlie.

Breve premessa: io ho cresciuto tre dei miei fratelli, che all’epoca avevano 2, 4 e 7 anni mentre io non ne avevo neanche 18. I miei genitori erano completamente assenti (per cause più o meno valide con cui non starò qui a tediarvi), e quindi so perfettamente che è difficile mantenere la calma, dare dei buoni insegnamenti e al contempo cercare di non impazzire mentre provi comunque a portare avanti i tuoi impegni e le tue passioni. Tanto di cappello a chi riesce a tener su tutto come il migliore degli equilibristi. Ma qui la faccenda è un’altra, perchè si parla di una madre esasperata e che non conosce altri metodi per farsi ascoltare, se non quello di urlare alle sue figlie dalla mattina fino alla sera (dalle 18 in poi la situazione fortunatamente si tranquillizza perché il marito torna da lavoro e il leone si trasforma magicamente in agnello).

Tralasciando la polemica diretta alla mia amorevole vicina (che comunque non fa mancare anche rumori decisamente molesti durante tutto l’arco della giornata, tanto da farti pensare che probabilmente in casa con lei vivano anche un elefante e un ballerino di tip tap), quello che mi domando è come sia possibile che la società sia in grado di formarti su qualsiasi cosa, tranne che sul lavoro più importante al mondo: quello del genitore.

E’ vero, probabilmente la maggior parte delle persone “fa del suo meglio”, ma ad oggi mi rendo conto che questo non basta. Il penoso risultato è sotto gli occhi di tutti: abbiamo a che fare con una nuova generazione che non ha più rispetto per gli adulti e per gli insegnanti, che non conosce più il valore dei soldi, della fatica, del lavoro. Non credo di dover precisare che non si fa di tutta l’erba un fascio e che fortunatamente esistono tantissime eccezioni, ma lo farò a scanso di equivoci.

D’accordo che non siamo tutti uguali (è piuttosto vero il contrario), d’accordo che ogni famiglia ha le sue caratteristiche, d’accordo che ogni nuovo nato è diverso da quello nato ieri e diverso da quello che nascerà domani, d’accordo che il contesto in cui si vive ha un’enorme influenza sul modo di pensare oltre che sui pensieri stessi; ma dico io: possibile non si riesca a dare ai bambini, futuri adulti e possibili genitori, qualche indicazione di massima su come tirare su una creatura senza farla diventare nociva per se stessa e per gli altri?

A volte rabbrividisco quando vedo coppie formate da individui totalmente avulsi dal mondo reale, che non sanno far altro se non postare video stupidi sui social e parlare di borse firmate e dieta. Sono individui che non hanno mai letto un libro, che quando in tv passa il telegiornale, istintivamente portano la mano al telecomando per mettere su “Uomini & Donne Over”. Individui che non sanno fare una moltiplicazione, che l’inglese “tanto a che mi serve, io vivo in Italia”; individui con cui non riesci a portare avanti una conversazione che non sia basata sul niente condito con Eau de Parfum e bollettini meteo. Sono quelle persone che aprono la bocca tanto per farlo, anche se nessuno glielo ha chiesto, anche se quello che dicono farebbe venir voglia di sperare nell’estinzione della specie. E ancora, sono quelle persone che fumano nei posti in cui non dovrebbero farlo, fregandosene altamente se le persone che li circondano non vogliono morire di cancro ai polmoni, quelle persone che buttano rifiuti dove gli capita, e che se la prendono sempre con gli altri perché il problema sono sempre “gli altri”.

Ecco, quando penso che individui del genere possano mettere al mondo un figlio in qualsiasi momento e soprattutto insegnargli chissà quali profondi valori e quali sane abitudini, allora rabbrividisco. Perché poi quando metti al mondo un figlio, ti senti un po’ Creatore anche tu, e quindi nessuno ha il diritto di dirti cosa dovresti o non dovresti fare: se hai il potere di creare, allora tutto ti è concesso.

Ci rendiamo conto che il futuro dell’umanità viene lasciato “anche” nelle mani di persone assolutamente incompetenti ed incapaci a crescere dei figli? Persone che possono fare danni enormi a cui spesso non si può porre rimedio?

Credo che dovremmo riflettere su questo problema, e cominciare a pensare a delle possibili soluzioni. Potremmo iniziare rendendo obbligatori (per chi fosse intenzionato a diventare genitore) dei corsi che consentano la comunicazione tra genitori e futuri tali, tra genitori e figli, tra tutti gli individui appena citati e psicologi, una sorta di gruppo d’aiuto ma anche di ascolto, in cui non necessariamente venga imposto un metodo: ognuno sarebbe comunque libero di recepire quello che vuole, e farne assolutamente il cavolo che gli pare.

Gli ottusi e i presuntuosi resterebbero tali, ma forse qualche piccola scintilla potrebbe accendere qualche fiammella e salvare il futuro di un solo bambino o dell’intera umanità.

Il discorso sarebbe davvero molto ampio e articolato, ma per adesso mi fermo qui e aspetto i vostri pareri e suggerimenti in merito. Da qualche parte dovremo pur cominciare 😉