Senso di colpa e inquietudine

Proseguo lo stringato racconto del libro “Le vostre zone erronee” di Dyer dedicandomi al capitolo che tratta quelle che lui definisce “emozioni inutili”: il senso di colpa (per ciò che è accaduto in passato) e l’inquietudine (per ciò che potrebbe accadere in futuro).

Dyer spiega che entrambe queste emozioni sono le forme più comuni di angoscia, e che ci paralizzano nel momento presente, perchè di fatto, che tu guardi avanti o indietro, il risultato è il medesimo: butti via il presente.

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Per la nostra cultura, non sentirsi colpevoli è un male, e tra le persone non preoccuparsi per se stessi e gli altri è considerato inumano. Ma nessun senso di colpa può mutare il passato. Va bene imparare dai proprio errori, anzi è indispensabile per la crescita di ciascuno, ma è malsano continuare a nutrire il senso di colpa: che senso ha sentirsi inutilmente offesi, irritati o depressi per una cosa già successa? (Domanda decisamente retorica).

Il senso di colpa nasce da una mentalità puritana e viene appreso in tenerissima età: ciascuno di noi si è sentito in colpa quando ha deluso i proprio genitori. Non a caso viene usato dai genitori per manipolare i propri figli e fargli fare determinate cose: dal moento che “si sono sacrificati per noi”, gli siamo in un certo senso debitori. E da adulti la solfa non cambia, tanto che arriviamo ad autoimporci il senso di colpa per aver infranto un codice al quale si professava di credere (vedi l’ambito religioso), o per aver deluso un insegnante, un capo o una persona a noi cara. Se ci pensiamo bene, anche la punizione per chi commette reati più o meno gravi è la stessa: restare in prigione e soffrire per quello che si è commesso, piuttosto che intraprendere un programma di recupero ed essere utili alla società in qualche modo.

Anche la sessualità o il regime dietetico ingenerano immani sensi di colpa: sei a dieta e mangi un dolce? Soffrirari un giorno intero per la debolezza di un momento.

Purtroppo nella nostra cultura i messaggi repressivi sono onnipresenti, ma se dopo ogni errore ci assolviamo col senso di colpa, siamo continuamente tentati di ripetere quella data azione. Dovremmo semplicemente imparare a godere di ciò che ci piace e che rientra nella nostra scala di valori senza nuocere agli altri, senza sentirci in colpa per qualsiasi cosa.

Nonostante le continue influenze esterne, è però possibile cambiare il nostro atteggiamento nei confronti di ciò che desta in noi un senso di colpa, e Dyer ci succerisce alcune strategie per farlo:

  • Cominciare a guardare al passato come a qualcosa di immutabile, malgrado i penosi stati d’animo che può suscitare. Non c’è senso di colpa che possa cambiarlo.
  • Domandarsi cos’è che stiamo evitando nel presente ricorrendo al senso di colpa sul passato. Lavorando a ciò che evitavamo, elimineremo il bisogno di sentirci in colpa.
  • Accettare cose di noi stessi che abbiamo scelto, ma che ad altri possono non piacere.
  • Tenere un diario su quanto, perché e con chi ci sentiamo in colpa.
  • Riconsiderare il nostro sistema di valori: a quali valori credi profondamente, e a quali invece dai solo a vedere di accettare?
  • Fare una lista di tutte le cattive azioni commesse, e assegnare a ciascuna un punteggio relativamente al senso di colpa da 1 a 10. Poi fare la somma, e vedere se il fatto che dia 1 o un milione cambia qualcosa nel presente.
  • Far capire agli altri che non accettiamo che ci facciano sentire in colpa

Come per il senso di colpa, la nostra società incoraggia anche l’inquietudine, tanto che è considerato normalissimo dimostrare il proprio amore con la preoccupazione. Ma l’ansia non può risolvere un problema futuro, piuttosto può impedire di affrontare i momenti presenti. E’ inutile avere ansia per cose che sfuggono al nostro controllo, e sarebbe di gran lunga meglio passare il tempo ad agire anzichè preoccuparsi inutilmente.

Ecco, anche per l’inquietudine, alcune strategie per cambira il nostro atteggiamento:

  • Invece di farci ossessionare dal futuro, consideriamo il presente come fatto di momenti da vivere. Quando ci sorprendiamo in ansia, domandiamoci “A cosa sto tentando di sfuggire adesso?”, e facciamo ciò che stavamo evitando. Il miglior antidoto all’inquietudine è l’azione.
  • Concedere tempi sempre più brevi alle inquietudini (magari 10 minuti al mattino e 10 nel pomeriggio, rimandando tutta l’ansia a quei brevi periodi di tempo).
  • Fare un elenco delle cose di cui ci siamo preoccupati, e chiedersi se è stato produttivo. Quante delle cose che temevamo si sono avverate?

Oggi l’ignoto viene associato al pericoloso, tanto che si considera più sicuro cercare di prevedere il futuro. Ma visto che nessuno di noi è veggente, la cosa più sana da fare sarebbe vivere con spontaneità: dobbiamo tentare anche quando l’esito è dubbio ed aprirci a nuove esperienze, eliminando parte della routine che ci attanaglia ogni giorno.

in fine, vorrei chiudere questo “capitolo” con una domanda che Dyer usa a questo punto e che mi è piaciuta molto:

“Hai vissuto 100 giorni, o hai vissuto 100 volte lo stesso giorno?”

Qui il prossimo post.

Le vostre zone erronee – Una lettura illuminante

Mentre mi interrogavo per capire quali fossero le mie reali passioni, quelle che davvero desiderassi coltivare nel prossimo futuro, mi sono resa conto che oltre alla musica, alla lettura e alla scrittura, non avrei potuto fare a meno di continuare ad indagare i misteri  della psiche umana, un po’ per capire me stessa, un po’ per capire (e magari smettere di temere) le persone che mi circondano.

E cercando online qualche testo di psicologia da tenere sul comodino per colmare i tempi morti tra un romanzo rosa e un giallo, mi sono imbattuta in un libro che, con estrema semplicità, mi ha aperto nuove frontiere dell’introspezione, oltre a fornirmi delle interessanti chiavi di lettura sui rapporti interpersonali.

81QwdX0WAsLIl libro “LE VOSTRE ZONE ERRONEE – Guida all’indipendenza dello spirito” dello psicologo e scrittore Wayne W.Dyer, tratta essenzialmente le fragilità umane riscontrabili nella stragrande maggioranza delle persone, e non solo ne spiega le origini e i risvolti nella vita di ogni giorno, ma regala anche qualche prezioso consiglio per aiutarci a migliorare lasciandoci queste “zone erronee” alle spalle.

Era tanto che aspettavo una lettura di questo tipo, e il fatto di essermici imbattuta per caso in un momento di forte fragilità, mi ha davvero impressionata. Non si tratta di uno di quei libri mirati a venderti l’illusione della felicità e a propinarti frasi motivazionali che, senza una buona base di comprensione, lasciano un po’ il tempo che trovano. Gli 8,50 € meglio spesi delle ultime settimane! Ne consiglio la lettura a chiunque si trovasse in un momento di smarrimento, ma anche a chi volesse capire meglio i meccanismi (spesso inconsci) che portano l’essere umano a reagire e comportarsi in un determinato modo e sfruttare queste nuove conoscenze per fare un percorso di crescita personale.

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Dyer comincia il suo saggio (tra l’altro pensato e scritto per persone assolutamente digiune di psicologia e termini medici specifici) con l’ammissione che “cambiare costa fatica“. È questo uno dei principali motivi che ci spinge all’inerzia, a perseverare nei nostri comportamenti “erronei”. E badate bene: con “erronei”non intende comportamenti “sbagliati” e disapprovati dalla società, tutt’altro! Nella maggior parte dei casi qui si parla di comportamenti che la società non solo approva, ma addirittura incoraggia, ma che sono estremamente dannosi per noi stessi sotto tutti i punti di vista: per la nostra parte razionale, per quella emozionale e, nei casi più spinti, per il nostro stato di salute. Non si tratta di “aggiustare qualcosa di rotto”, ma bensì di comprendere e addirittura crescere se lo si vuole.

Potrebbe sembrare assurdo, ma se ci pensiamo bene nella quotidianità ci sentiamo spesso molto più sicuri ad attenerci ad un modo di reagire che conosciamo, benché autodistruttivo, piuttosto che a cambiare le nostre abitudini. Quali saranno mai queste abitudini autodistruttive che non riusciamo a cambiare? Non siamo mica degli automi senza cervello che continuano a perseverare in qualcosa che ci fa del male? In effetti no, non siamo degli automi, ma ciò non toglie che, senza esserne davvero consapevoli, spesso ci comportiamo come se lo fossimo. Chi, ad esempio, può dirsi privo di rimpianti, di ansie, di preoccupazioni, di desideri che forse non si realizzeranno mai? Se non tutti, quanto meno la maggior parte di noi. Questo prova che qualcosa nei nostri meccanismi profondi non funziona come sarebbe naturale che funzionasse.

Dyer spiega che qualsiasi comportamento autodistruttivo che mettiamo in atto, è un modo per evitare il presente, l’adesso. Eppure non ha senso, visto che il presente è l’unico momento in cui possiamo fare esperienza. A cosa serve rimuginare continuamente sulle esperienze passate o su quelle future? La domanda è ovviamente retorica.

La vita è nostra, e dovremmo farla così come noi la vogliamo. Ma spesso non sappiamo neanche cosa vorremmo davvero, e allora potrebbe essere davvero arrivato il momento di scendere nel profondo per comprenderne i motivi e abbracciare nuovi processi mentali che ci consentano di dirigere noi stessi esattamente lì dove vogliamo. Ovviamente non è semplicissimo dal momento che veramente tantissime forze cospirano contro la responsabilità individuale, ma ciò non significa che con le conoscenze giuste e un po’ di impegno sia impossibile.

Tendenzialmente le nostre giornate sono fatte di passaggi tra un determinato stato d’animo e un altro: un momento ti senti sereno, quello dopo qualcosa ti turba e ti arrabbi, poi ti senti ansioso per qualcosa che dovrà accadere, e non poterlo comandare ti fa sentire frustrato. Eppure è possibile controllare tutti questi stati d’animo. Il sillogismo che usa Dyer è molto semplice:

Io posso controllare i miei pensieri

I miei stati d’animo discendono dai miei pensieri

Posso controllare i miei stati d’animo

Ogni emozione non è altro che la reazione fisica ad un pensiero, ed è proprio sui pensieri che dovremmo agire per cambiare noi stessi e la nostra vita. E quando possiamo farlo? Soltanto adesso, nel momento in cui ogni cosa accade. Non possiamo cambiare i nostri pensieri di ieri, eppure quella di non tenere in considerazione il presente è una vera e propria malattia della nostra cultura: ciascuno di noi, infatti, viene continuamente condizionato a sacrificarla per il futuro. La felicità, sempre rimandata all’indomani, ci sfugge. Vi è mai capitato di dire a voi stessi:”Quando mi sposerò/quando sarò più magra/quando mi sarò laureato/quando avrò un figlio/quando guadagnerò di più la mia vita cambierà”. Poi quell’evento si verifica, e restiamo delusi perché capiamo di averlo idealizzato, e che niente è realmente cambiato. Ciò significa che non dovremmo lasciare che le circostanze pilotino la nostra vita: se vogliamo qualcosa, dobbiamo agire per ottenerla, senza aspettare che circostanze esterne lo facciano per noi….anche perché potete star certi che non avverrà.

Spesso restiamo immobili per il timore di sbagliare, ma se ci lasciamo paralizzare dalla paura non cambieremo mai, e di conseguenza anche la nostra vita resterà tale e quale.

Fra i comportamenti “immobilizzanti” che non ci permettono di crescere e cambiare, c’è sicuramente l’approccio “erroneo” all’amore verso noi stessi e gli altri, accompagnato dal comune errore di confondere il proprio valore con il proprio comportamento: siamo soliti pensare che quel tale sia “cattivo”, anziché pensare semplicemente “si è comportato male”; e così ragioniamo anche per noi stessi. Quando non siamo capaci di fare qualcosa, sentiamo di valere poco “in generale”, senza riflettere sul fatto che se non siamo riusciamo in qualcosa, potrebbe essere semplicemente perché non ci siamo “allenati” abbastanza: le nostre capacità non sono scritte nei nostri geni, ma sono piuttosto il frutto di scelte che abbiamo compiuto in passato. Se ad esempio in età adulta siete delle schiappe nella corsa o nel gioco del golf, questo non fa di voi delle persone che valgono meno rispetto a quelle che invece in questi campi vanno forte: semplicemente, in passato, avrete ritenuto di dedicare il vostro tempo e i vostri sforzi ad altre attività. Che quelle decisioni si siano rivelate “sbagliate” per voi (e solo voi e nessun altro può dirlo), l’unica alternativa che avete è lavorare per cambiare il presente, visto che tanto per il passato non potete più fare niente. D’altronde niente e nessuno potrà mai darvi la garanzia che una decisione dia i risultati che speravate, tanto vale provare e, nel caso in cui il risultato non ci soddisfi, cambiare e provare una nuova strada.

E se a limitarci fossero degli aspetti di noi stessi che consideriamo “sbagliati”? Be’, a questo punto è necessario capire se si tratta di aspetti che possono essere modificati (ad es. qualcosa che consideriamo un difetto caratteriale), o meno (ad es. la lunghezza delle nostre gambe); nel secondo caso, dobbiamo lavorare per imparare ad accettare noi stessi, tenendo sempre ben presente che l’amore per sé stessi non esige l’amore e l’opinione altrui.

Ma che senso ha scegliere per noi stessi questi comportamenti autodistruttivi? Principalmente perché abbassare il nostro valore e metterci al di sotto degli altri, ci evita molti rischi. Così facendo, possiamo ricevere compassione e attenzione, con lo svantaggio di dare contemporaneamente agli altri un potere sterminato sulla nostra vita. Aver bisogno di essere approvati, è un po’ come dire “Vale più il tuo pensiero su di me, che l’opinione che ho di me stesso”. In questo modo saremo tutto ciò che gli altri vogliono che noi siamo, a discapito della nostra vera personalità. D’altronde secondo la nostra cultura è sempre meglio consultare gli altri che fidarsi di se stessi. Non a caso l’approvazione viene usata come potente strumento di manipolazione: l’indipendenza e l’auto-approvazione allontanano dal controllo altrui, ma vengono definiti comportamenti egocentrici ed irriguardosi. E ciò è così da sempre: fin da quando siamo bambini ci insegnano a chiedere prima ai genitori (che trattano i figli come fossero un loro possesso), ci spingono a non pensare con la nostra testa e a stare al nostro posto (soprattutto a scuola), e la religione non aiuta di certo: devi piuttosto comportarti in un certo modo per ottenere l’approvazione del tuo Dio, altrimenti ciò che ti spetta sono punizioni e dannazione eterna.

La ricerca dell’approvazione altrui è altresì nociva perché tendiamo generalmente ad assimilare il rifiuto di una nostra idea, al rifiuto di tutti noi stessi. Ma dobbiamo imparare a convivere col fatto che esisterà sempre qualcuno che ci disapproverà. Tutto sommato, ci va bene anche così, e preferiamo affidarci all’approvazione altrui per poi avere la possibilità di addossargli la colpa dei nostri stati d’animo, senza pensare che la conseguenza di questo comportamento è che non cambieremo mai.

La strada giusta da percorrere è quella di esercitarsi ad ignorare la disapprovazione, e Dyer ci da’ qua e là qualche escamotage da mettere in pratica per perseguire questo obiettivo:

  • Smettere di stare sulla difensiva accampando scuse o cercando di difendersi
  • Ringraziare l’altro per la sua opinione e dirgli che continuiamo ad essere convinti di ciò che pensiamo
  • Smettere di voler convincere l’interlocutore a tutti i costi della giustezza della nostra posizione
  • Cominciare a fidarsi un po’ di più di noi stessi e delle nostre decisioni (se fatte con criterio, e non prese per ansia o paura).

Questa è soltanto un’infarinatura generale e affatto esaustiva del libro di Dyer (che ovviamente vi invito a leggere), ma mi piacerebbe comunque approfondire determinati aspetti per darmi e darvi ulteriori spunti di riflessione che in un modo fortemente omologato come quello di oggi sono merce rara.

Quindi prossimamente mi impegno a pubblicare alcuni post che scendano nel dettaglio di ciascuna “zona erronea” per cercare di comprenderla a pieno e condividere con voi gli strumenti per potersene liberare. Stay tuned 😉

– II parte – Liberarsi del passato

Tu sei il risultato di tutte le immagini che hai dipinto di te stesso […] e ne puoi sempre dipingere di nuove.

Le persone sbagliate, e quelle giuste

amicizie-Non-instaurare-amicizie-inutiliQuando si ha poca autostima, è facile attrarre le persone sbagliate. Non che siano “sbagliate” in assoluto, ma sicuramente lo sono per noi.

Quando avevo diciassette anni, odiavo la mia vita. Non c’era niente, o quasi, che andasse per il verso giusto. E non parlo di semplice crisi adolescenziale, ma di mattoni ben più pesanti come il bullismo, la depressione, la solitudine, la violenza. E’ stato scontato, dalla ragazzina piena di problemi quale ero, diventare la persona ansiosa e priva di certezze che sono diventata. Odiavo me stessa anziché odiare che mi faceva del male, e mi aggrappai alla prima relazione che mi permise di intravedere una via di fuga da quella vita che consideravo sporca e desolante.

Ebbi l’occasione di ricominciare: un nuovo amore, una nuova città, dei nuovi amici.

La verità è che non scelsi consapevolmente nessuna di queste cose; l’unica decisione che presi, fu di lasciarmi alle spalle in blocco tutto quello che mi ero portata dietro per diciassette anni: qualsiasi cosa troverò, pensai, non potrà essere peggiore di quello che ho lasciato.

Ma allora ancora non sapevo che del passato non ci libera semplicemente facendo finta che non sia mai esistito, perché i problemi, le mancanze e le insicurezze rimangono ancorati dentro di noi ovunque decidiamo di andare.

Da allora, mi ci sono voluti quasi dodici anni per capire che la nuova vita che mi ero costruita era tutta una finzione. Tranne l’affetto che provavo per le persone che la abitavano, quello era reale e sincero.

Nonostante i legami affettivi mi avessero impedito di fare un ragionamento razionale per tutto quel tempo, ad un certo punto sentii che mi stavo ammalando e che i pericoli da cui ero scappata dodici anni prima stavano tornando a minacciarmi. Per impedirlo, ho dovuto fare una scelta consapevole e matura, la stessa che a diciassette anni non ero stata in grado di fare. Ho dovuto prendere coscienza di ogni mia debolezza e di ogni mia paura, e con il cuore in una mano e il cervello nell’altra, ho deciso di passare in rassegna una ad una le persone che mi circondavano. Mi ero adattata e modellata a loro piacimento, e questo aveva fatto sì che la vera me restasse nascosta sotto quintali di sensi di colpa, parole accondiscendenti e forzature. Portarla alla luce ha naturalmente allontanato tutte le persone che non erano affatto interessate a me e alla mia felicità.

E’ stato difficile, ma essenziale. Nonostante le lacrime e la fatica, so che lo rifarei ancora e ancora.

Per quanto possa spaventarci, dovremmo sempre domandarci se le persone che abbiamo accanto contribuiscano alla nostra felicità, se tengano realmente a noi o meno, se ci stiano accanto per chi siamo o soltanto per comodità. Allontanare anche solo una delle persone che non ci apprezzano, può aiutarci ad essere più liberi, a ritrovare noi stessi se ci eravamo persi, e a valutare la nostra vita da una nuova prospettiva. Provateci.

 

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