Ninfee Nere -Michel Bussi

Una musica sapientemente orchestrata, perfetta in ogni dettaglio, che ti fa trattenere il respiro fino alla fine…e che neanche alla fine ti lascia libero di respirare un’aria che non sia quella di Giverny, di Monet e delle sue ninfee. Bellissimo.

Questo è stato il commento a caldo che ho scritto ieri sera un attimo dopo aver terminato la lettura di Ninfee Nere, di Michel Bussi.

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Me lo avevano consigliato in tanti, o quanto meno tutti quelli che condividono la mia stessa passione per i gialli. Ma non gialli qualunque: quelli pensati e scritti davvero bene, che ti danno l’illusione di essere sulla strada giusta per scovare il colpevole, che ti fanno dire:”ma certo, l’assassino sarà sicuramente lui, devo solo capire perchè”; e invece poi ti rendi conto che non avevi capito proprio niente, che quell’indizio era stato messo lì per mandarti fuori strada, e che dovrai soffrire fino all’ultimo secondo, fino a quando finalmente lo scrittore deciderà che è giunto il momento di scoprire le carte e spiegarti tutto per filo e per segno, lasciandoti senza parole.

Il romanzo di Bussi è uno di quei gialli, talmente ingarbugliato da farti venir voglia di lanciare il libro per aria e arrenderti da tanto i fili della matassa sono intrecciati; per fortuna, però, la curiosità la fa sempre da padrona, e allora ti addentri nella storia, nel giardino con lo stagno di ninfee, tra i quadri impressionisti di un’epoca che nel piccolo villaggio di Giverny sembra si sia fermata a quegli inizi del 1900.

Una serie di omicidi, un ispettore, Monet e il mistero delle Ninfee Nere, quadro che si dice il pittore abbia dipinto in punto di morte. E infine 3 donne: Fanette, una bambina di 11 anni appassionata di pittura, Stéphanie, la seducente maestra elementare del villaggio, e infine la “vecchia strega” ottantenne del mulino delle Chennevières. Tre donne molto diverse con un segreto in comune, segreto persino a loro stesse, tutte e tre smarrite in un labirinto inestricabile in cui spazio e tempo si deformano fino all’inverosimile.

Si è capito che ho apprezzato moltissimo questo libro e che lo consiglio?

Buona lettura.


Appunto qui alcune citazioni che mi hanno particolarmente colpita, probabilmente perchè rimandano alla mia vita in maniera precisa e pungente:

“Perchè fuggire…La risposta alla sua domanda è banale e vecchia come il mondo, è la malattia delle ragazze che si sognano diverse […]. Nessuna scusa, nessun alibi. Solo la noia e la certezza che la vita sia altrove, che da un’altra parte esista una complicità perfetta, che quei capricci non siano dettagli ma cose essenziali….E che nulla conti più di poter condividere la stessa emozione davanti a un quadro di Monet o a un verso di Aragon.” – Ninfee Nere (pag.287)


“La mia immagine mi esplode in faccia. Dev’essere una foto di almeno quarant’anni fa. Sono io? Sono proprio miei quegli immensi occhi malva, quel sorriso a cuore, quella pelle madreperlacea sotto il sole di una bella giornata di Giverny? Avevo dimenticato quant’ero bella. Forse bisogna aspettare di essere un’ottantene rinsecchita per avere il coraggio di dirselo.” – Ninfee Nere (pag.366)


“A chi interessano queste cose oggi? Con chi lamentarsi? Esiste un ufficio delle vite perdute?” – Ninfee Nere (pag.385)

 

La verità sul caso Harry Quebert – Una lettura avvincente!

la verita sul caso hayy quebert

Io e la suspence viaggiamo decisamente su due binari paralleli che non si incontreranno mai: nel solo titolo ho già anticipato sia il titolo del libro che il mio spassionato parere in merito. Perché mai qualcuno dovrebbe quindi voler leggere tutta la manfrina scritta qui sotto? Un motivo in effetti non c’è, ma sono certa che, se qualche curioso come me ancora esiste, vorrà capire il perché del mio entusiasmo.

Premetto di aver soltanto “ascoltato” su Storytel il romanzo di Joël Dicker, letto ad alta voce da Gioele Dix (bravissimo). Il tempo di ascolto non lo definirei piccolissimo: 19 ore e 30 minuti. Ma nessun minuto è stato superfluo o scontato, e probabilmente l’aspetto che più ho apprezzato di questo giallo è proprio quello che riguarda la la struttura: è articolata, complessa, intrecciata, attenta.

A tenerci per mano durante un viaggio che ci conduce indietro e di nuovo avanti nel tempo, è il giovane scrittore Markus Goldman. Nella sconosciuta cittadina americana di Aurora, nel 1975, una ragazza scompare. Poi, nel 2008, quando tutti credevano che quel caso sarebbe rimasto ormai irrisolto, qualcosa sconvolge l’apparente tranquillità di Aurora e dei suoi cittadini, e l’America intera comincia ad interessarsi ad una storia che sembrava ormai dimenticata.

La storia di Nola Kellergan, appena sedicenne nell’estate 1975 in cui è scomparsa, torna prepotentemente a scuotere gli animi di chi la conosceva e a cambiare la vita di Markus Goldman, ormai da mesi alle prese con “il blocco dello scrittore”. Al tempo dei fatti, il suo amico nonché scrittore di fama mondiale Harry Quebert aveva soltanto 34 anni, e al termine di quell’estate rimasta indelebile nella memoria di Aurora, dette alla luce il suo romanzo più riuscito: “Le origini del male”.

Ma cosa ne è stato di Nola Kellergan? E cosa c’entra con lei Harry Quebert? I cittadini di Aurora sanno davvero così poco come raccontano?

Un passo dietro l’altro, Markus Goldman ci accompagna in un’indagine piena di colpi di scena, in cui niente viene dato per scontato. L’intreccio è talmente curato nei minimi dettagli, che già dopo un’ora di ascolto mi sono ritrovata a digitare su Google “la verità sul caso Harry Quebert si basa su una storia vera?”. Mi sono sentita meno stupida quando ho constatato che già migliaia di persone avevano fatto quella stessa ricerca. E non sono soltanto i “fatti” a scuotere il lettore, ma anche (e soprattutto) la psicologia dei personaggi che man mano vanno a dare corpo ad una storia che ha davvero dell’incredibile. Quindi, senza dilungarmi ulteriormente in particolari che potrebbero rovinare la suspence, tutto ciò che mi sento di dire è che consiglio vivamente la lettura di questo romanzo a tutte le persone dall’animo curioso, a cui piace restare col fiato sospeso e vivere con trepidante attesa il momento in cui finalmente, dopo una giornata di lavoro, tutto si ferma e ci si immerge nuovamente in un mondo a cui in fondo non avevamo comunque mai smesso di pensare.

Buona lettura!

Il Sognatore – Recensione

Il sognatore

Quando mi sono imbattuta casualmente nel titolo di questo romanzo, ho deciso che lo avrei comprato senza leggere la trama ne cercare informazioni circa il suo autore.

Quella dei sogni è per me una realtà spesso scomoda, in cui mi ritrovo senza bussola e possibilità di scelta: quasi ogni mattina riesco a ricordare cosa è successo durante la notte, e il più delle volte non è un bene. A volte sbucano mostri, animali feroci, fin anche il volto di Satana. Altre rivedo quella nipote che non posso più abbracciare nella vita reale. Certe notti le passo a piangere con lacrime immaginarie ma incessanti, incredula per la prematura scomparsa di quella o quell’altra persona a me cara. Mi dico spesso che dovrei andare da uno bravo che analizzi la mia anima attraverso quelli che sono più spesso incubi che sogni, ma poi mi sento ridicola e rinuncio.

Lazlo Strange, l’indiscusso protagonista de “Il Sognatore” (di Fazi Editore), un po’ mi somiglia: che gli occhi siano aperti oppure no, la vena sognante e fantasiosa riesce costantemente ad irrorare ogni suo organo e tessuto, fino a consentirgli di plasmare quei sogni come carta da origami. Lazlo non sa da dove viene, non sa chi è, e nel dubbio si convince di essere un insignificante bibliotecario senza alcuna aspirazione nella vita (l’ho già detto quanto mi somiglia?).

Seppure il suo corpo non lasci mai la biblioteca, grazie al potente intruglio di inchiostro e fantasia dei “suoi” libri e all’aiuto della sua stessa immaginazione, riesce ad evadere verso luoghi in cui la maggior parte degli uomini probabilmente non è mai stata e mai andrà.

In particolare, c’è un mistero che lo ha sempre affascinato fin dalla tenera età: quello di Pianto, una città lontana abitata da esseri straordinari, che dicono abbia smarrito il proprio vero nome, improvvisamente, in un passato non troppo lontano. Nessuno è mai riuscito a vedere Pianto o a tornare indietro per poterlo raccontare, tanto che viene relegata nella sfera della mitologia.

Al di là di ogni aspettativa, la vita di Lazlo e quella di Pianto si intrecceranno indissolubilmente, ed i sogni non saranno più soltanto il luogo in cui rifugiarsi per fantasticare un futuro stupefacente.

Il Sognatore è un racconto fantasy tessuto fra le trame di una realtà tutto sommato monotona e ordinaria, senza slanci o scopi degni di nota.

Ho apprezzato questo racconto per 3/4, perché parte da lontano e ti avvicina lentamente alla conoscenza con Lazlo e con i misteri che si porta nel cuore come il più grande dei tesori. Il ritmo è lento e a tratti snervante (ma quel modo positivo di essere snervante, nel senso che alimenta la curiosità), specialmente nella prima metà del romanzo (o forse qualcosina di più). Poi, verso il finale e senza alcun preavviso, tutto comincia a precipitare veloce togliendo spazio al contorno, che sbiadisce sempre più fino a scomparire.

Non ho gradito l’epilogo di questo romanzo, tanto più che quel “CONTINUA” scritto in stampatello in fondo all’ultima pagina del libro uccide tutta la curiosità che la “fuxya” Laini Taylor era stata in grado di creare con la sua narrazione.

Ho voglia di leggere il prosieguo della storia? Non molto. Mi ero affezionata a Lazlo, mi ero affezionata al mistero di Pianto; ma adesso che entrambi sono stati spogliati dei loro tratti “ordinari “, cancellando il legame seppur flebile con la vita “normale” e reale, anche la mia curiosità ha smarrito la sua dimensione, e dubito che riuscirebbe a ritrovarla nel seguito de “Il Sognatore”.

Qui potete trovare molte altre recensioni!

Il riparatore – Recensione

Mi capita spesso di essere attratta da un libro per il suo titolo o la sua copertina: se sono persa tra gli scaffali di una libreria, anziché divorare la trama del libro in cinque secondi netti, mi limito ad aprire il romanzo e leggerne la prima pagina. Se il contenuto o lo stile dello scrittore mi incuriosisco, lo prendo! Quando però acquisto un eBook su Internet, la storia cambia perché non è scontato riuscire a trovare l’anteprima della prima pagina per farsi un’idea. Allora baso tutto sul primo impatto, e come spesso accade nella vita di ogni giorno quando si fa affidamento sugli aspetti più superficiali, prendo delle grosse fregature.

Non vorrei dire che “Il riparatore” di F. Paul Wilson lo sia stato del tutto, ma di certo ricordo bene di aver provato una certa delusione nel momento in cui il “soprannaturale” ha fatto il suo spettacolare ingresso in un racconto che tutto sommato mi stava davvero intrigando. La colpa, si intende, non è certamente del libro, ma soltanto mia e della mia insensata fobia delle trame: ho sempre il terrore che mi svelino più di quanto la mia curiosità non possa tollerare.

Ad ogni modo, vi vado a spiegare brevemente di cosa si tratta: Jack è un ragazzone sulla trentina che ha volutamente preso la decisione di emarginarsi dalla società. Lavora da anni nel campo delle riparazioni, un campo che nella maggior parte delle persone non desterebbe il minimo interesse, ma che per i pochi che sanno bene cosa cercare, è un ambito davvero molto apprezzato. Sì perché Jack non si limita a riparare oggetti ed elettrodomestici: lui ripara “situazioni complicate”.

La sua stessa fidanzata è all’oscuro di tutto, e non ha dubbi sulla decisione di lasciare Jack  quando scopre i suoi ‘attrezzi del mestiere’: armi, passaporti falsi e strumenti di tortura.

Dal canto suo, Jack ha i suoi buoni motivi per difendere le proprie scelte di vita, e mentre cerca di capire quali dovranno essere le sue prossime mosse, riceve un nuovo incarico: un indiano privo di un braccio lo ingaggia per

recuperare una collana rubata alla sua vecchia zia che si trova già in ospedale sul punto di morire. La missione lo conduce nei pressi di un mercantile arrugginito nel West Side di Manhattan, e le presenze che ne abitano la stiva sembrano non avere niente a che fare con la realtà che ha sempre conosciuto. Jack si troverà ad affrontare una vendetta che ha viaggiato indenne attraverso i secoli e che rischia di coinvolgere le persone che più ama al mondo.

Molto probabilmente, se avessi letto la trama prima di precipitare le mie dita impazienti sul tasto “Acquista”, la mia delusione non avrebbe avuto ragione di esistere; sarei stata pronta e quasi in trepidante attesa di scoprire che razza di presenza potesse infestare lo scafo di una nave. Ma visto che così non è stato, mi limiterò a qualche breve osservazione che possa aiutare gli ultimi indecisi a prendere una decisione: lo leggo o non lo leggo?

Non ho fatto “orecchie” ne sottolineature durante la lettura, il che significa che non ci sono state frasi o concetti degni di nota e che abbiano colpito nel segno. Il racconto scorre veloce, con le giuste dosi di ansia ed attesa. Se si riesce a far pace con l’ingresso del fantascientifico in una storia che pareva avere fin dal principio i piedi ben piantati per terra, il romanzo ha il suo fascino. La cosa che veramente mi ha colpito e che mi ha lasciato un’impressione finale positiva di questo libro, è stata la presenza dei colpi di scena. Ce ne sono moltissimi, e più si va avanti con la lettura e più quelli aumentano.

Spesso riesco ad indovinare cosa succederà ai protagonisti, come se lo scrittore avesse lasciato troppi indizi lungo il cammino, togliendomi il regalo della sorpresa, ma con Il Riparatore questo non è successo, in nessun momento: caratteristica assolutamente da apprezzare.

Non so se sarò riuscita ad orientare la vostra scelta o se avrò semplicemente creato più confusione, ma in ogni caso vi ringrazio per aver dedicato qualche minuto del vostro tempo alla lettura della mia simil-recensione un po’ sconclusionata.