Latitanza

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L’estate per me rappresenta in assoluto il periodo più stressante dell’anno. E dire che è sempre stata la mia stagione preferita.

Da 10 anni a questa parte la vivo come una parentesi pesante ed impalpabile allo stesso tempo, in cui i ritmi lavorativi portano via le mie giornate lasciandomi affaticata e stordita, tanto che, paradossalmente, ho l’impressione di non vivere affatto. Non trovo il tempo di svagarmi, di leggere o pensare. Mi limito ad andare avanti spinta da una forza maggiore, e mi sento come se viaggiassi costantemente su un treno veloce che non mi permette di comprendere i contorni del panorama che scorre al di là del finestrino.

Non so se dare la colpa a questo clima di tensione che mi gravita attorno, o se attribuire semplicemente tutto al caso, ma nel dubbio devo comunque prendere atto di certi cambiamenti che mi sento dentro, che mi vedo addosso, e che stento ad accettare.

Con la semplice “accettazione” quante cose potremmo risolvere dentro di noi. Eppure è un meccanismo che non riesco a decifrare e che mi sfugge ogni volta che penso di essere ad un passo dall’afferrarlo.

Ho provato a fare lunghe riflessioni, nella speranza che le mie deduzioni sciogliessero i nodi che mi attorcigliano, ma come disse saggiamente Pascal:“Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce”.

E’ un po’ come se tentassi di farmi passare la paura per i film horror ripetendomi:” Sai che è tutto finto, perché dovrebbe spaventarti?”. Dio solo sa quante volte ci ho (inutilmente) provato.

Un po’ mi affascina e un po’ mi spaventa l’idea di non poter raggiungere e “sovrascrivere” certe convinzioni che mi porto dietro da quando ho memoria. E se la ragione non basta a capire e sciogliere questi nodi, forse è all’esperienza che dovrei ricorrere. Ma se l’esperienza mi terrorizzasse più di quanto un fil horror non riesca a fare?

Temo che per me la via per l’accettazione non sia neanche cominciata.

 

Se solo…

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Se solo fossi più bella…

Se solo fossi più magra…

Se solo fossi più alta…

Se solo avessi più seno…

Se solo avessi labbra più grandi…

Se solo avessi una fronte più alta…

Se solo avessi le gambe più affusolate…

Se solo avessi gli occhi chiari…

Se solo avessi i capelli ricci per natura, o se solo li avessi lisci per natura…

Se solo avessi più autostima…

Se solo avessi più coraggio…

Se solo guarissi dai problemi di salute…

Se solo capissi cosa voglio dalla vita…

Se solo avessi un obiettivo…

Se solo avessi pazienza…

Se solo riuscissi ad accontentarmi di ciò che ho…

Se solo fossi più decisa…

Se solo fossi ricca…

Se solo avessi più amici…

Se solo capissi i miei stati d’animo…

Se solo fossi più fortunata…

Se solo fossi meno egoista…

Se solo smettessi di punirmi col cibo…

Se solo smettessi di consolarmi col cibo…

Se solo smettessi di tenermi tutto dentro…

Se solo mi mettessi al primo posto…

Se solo avessi un dono speciale…

Se solo potessi cambiare il passato…

 

…allora sarei un’altra persona e non me. Eppure non vorrei essere nessuno che io conosca. Ma neanche me. Vorrei essere tutto ciò che non sono. Vorrei sperimentare altre vie per la felicità, quella felicità che al momento mi sembra preclusa. Ma la colpa non è di ciò che sono, ne tanto meno di quello che non sono.

Avverto distintamente il fruscio di pensieri cupi e pesanti che prendono lentamente vita da un angolo buio della mia mente; mi accorgo di nuovi punti di domanda che prima non c’erano e che come ombre crescono e s’allungano man mano che sfiorisce il giorno. In poco tempo tutto diventa scuro, anche le cose più belle e che a mente fredda non cambierei mai.

E’ in questi momenti che l’ego prende il sopravvento: teme che io possa soffrire ancora, e per far sì che io evada al più presto da questa gabbia di prepotenti pensieri, mi propone:”perché non ti fai una bel selfie (o semplice autoscatto) e aspetti che ti facciano un sacco di complimenti, a conferma del fatto che sei fantastica così come sei?”. Lui però non sa che per ottenere una foto quasi figa, mille altre devono essere scartate: respingo istintivamente le mille altre versioni di me che (sono convinta) “gli altri” non gradirebbero. E non è ancora più deprimente rendersi conto che soltanto una versione su mille ha passato l’esame finale (per il rotto della cuffia e con l’aiuto di Prisma, aggiungerei) ?

O ancora, non lo sa il mio ego (così come lo sa la mia coscienza) che ciò che gli altri pensano di me lascia un po’ il tempo che trova? Perché un’ora dopo, o al più tardi il giorno seguente, mi ritroverò ancora lì, immobile, irretita da quegli stessi cupi pensieri; perché per cercare l’approvazione “degli altri” non mi sarò mossa affatto dal baratro in cui mi sono lasciata trascinare.