Chiediti come stai

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“Come stai?”

Credo che sia la domanda più gettonata in un ristretto ventaglio di opzioni disponibili quando si incontra qualcuno che non si vede da molto tempo, e di cui non ricordiamo quasi più niente.

E quella domanda la pronunciamo con entusiasmo, col sorriso, come se ci importasse davvero. Eppure, da qualche parte dentro di noi, sappiamo benissimo che se davvero ci fosse interessato, quella persona l’avremmo cercata prima e non ci saremmo ridotti a domandarglielo soltanto dopo averla incontrata incidentalmente.

Ma non è neanche il caso di farsene una colpa: nella vita si cresce, si cambia, si sbaglia, ci si allontana, e se capita di avere incontri del terzo tipo con le persone che hanno abitato il nostro passato, forse è preferibile un “come stai?” di troppo alla totale indifferenza.

La cosa paradossale, in tutta questa faccenda, è che quel “come stai?” lo rivolgiamo spesso alle persone che non fanno più parte della nostra vita, raramente a quelle che ne fanno parte, ma mai a noi stesse.

“Perché tanto con me stessa ci sto tutto il giorno, in ogni secondo, in ogni istante; so come sto senza domandarmelo”

“Non mi manca niente, perché dovrei perdere tempo con certe domande?”

“Adesso ho da fare, se c’è qualcosa che non va, ci penserò dopo il lavoro, la spesa, dopo aver preso i bimbi all’asilo, averli portati in piscina e aver steso la lavatrice”.

E’ incredibile come cerchiamo continuamente di scappare dalla domanda più semplice e fondamentale di tutte.

Ogni volta che le esperienze, brutte o belle che siano, mi hanno insegnato qualcosa, sono caduta in una specie di trance che a volte è durata anche settimane, durante le quali mi sono data ininterrottamente dell’idiota per non aver capito prima, per aver buttato anni inutilmente, per non essere stata più saggia. E in ognuna di queste occasioni, mi sono resa conto di essermi salvata in extremis, proprio quando un piede già faceva capolino sull’abisso del “per sempre infelice e scontenta”. E tutto questo per cosa? Per una o più mancanze nei miei confronti, per essermi condotta dove in realtà non sarei voluta realmente andare.

Ok gli impegni, i doveri, gli appuntamenti, i problemi e le difficoltà a cui far fronte. Ok gli amici, la nostra dolce metà, i figli, la famiglia. Ognuna di queste cose, ognuna di queste persone, richiede la nostra presenza e il nostro impegno quotidiani, ma non dovremmo mai dimenticarci che NOI siamo la priorità, e che se non ci curiamo di noi stesse, nessun altro lo farà al posto nostro.

Probabilmente, una volta al giorno, sarebbe il caso di ritagliarsi un momento solo per noi, senza interferenze e distrazioni, un momento in cui mettersi davanti allo specchio e chiedersi “Come stai? Com’è andata la tua giornata?”. Al solo pensiero mi sento ridicola e rido come una cretina, quindi non è sicuramente questa la strada giusta per me. Ma una volta ogni tanto, senza impegno, senza specchi o altri oggetti che mi rimandino il mio imbarazzo, sarebbe proprio il caso che mi fermassi a domandarmi se mi sento serena, se il percorso che sto facendo sia o meno quello giusto per me, o se invece io senta la mancanza di qualcosa.

Visto che sono qui, ferma davanti al pc, visto che che mi sono ritagliata questo momento per scrivere, soltanto per me, potrei approfittarne per chiedermi come sto.

Ed è incredibile come tutto il mio corpo cerchi di ribellarsi ad un momento così confidenziale ed importante: all’improvviso sento brontolare lo stomaco per la fame, e a pensarci ho anche sete. Dovrei davvero alzarmi e andare a cucinare qualcosa. Per giunta dopo devo fare anche la doccia. Devo davvero sbrigarmi.

Perché tutti questi freni? Perché una domanda così banale dovrebbe spaventarmi?

Forse è paura. Paura di non sapermi ascoltare. Paura di prendere per me stessa le decisioni sbagliate. Paura di commettere gli stessi errori del passato. Paura di non sapere cosa sia giusto per me.

Ma se penso che domandare a me stessa qualcosa di semplice possa davvero farmi stare meglio, fanculo alla paura e a tutti questi freni!

Ciao, come stai?

Abbastanza bene, grazie. Ultimamente la salute non mi sta aiutando, e la cosa mi genera non poca ansia. Però, a giorni alterni, faccio forza sulla mia indomita speranza e vado avanti con la consapevolezza che i mali in grado di devastarti la vita sono altri. Ho accanto una persona che amo profondamente, che mi fa ridere, che si prende cura di me come nessuno ha mai fatto prima, e che vede di me tutto il bello che io non sempre riesco a vedere. Ho una famiglia un po’ pazza ma di cui non potrei fare a meno, che sento vicina nonostante la distanza. Ogni mattina mi alzo volentieri per andare a lavoro. Se però devo dar peso a quel “ABBASTANZA”, ammetto che qualcosa che mi manca c’è: gli amici. Vorrei trovarne di nuovi, sinceri, leali, e magari perché no, pure simpatici. Questa è probabilmente la cosa che più in assoluto mi manca e che darebbe molto più senso alla mia quotidianità. E se posso permettermi di scavare un po’ più a fondo, non posso nascondere il mio bisogno di trovare, dentro di me, l’amore e la sicurezza che la vita mi ha tolto. La nota positiva, è che su entrambe le cose posso lavorare, senza aspettare che mi arrivi un aiuto esterno da chicchessia.

E voi, come state?

 

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Invasioni

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E’ ormai risaputo che la nostra libertà finisca dove inizia quella altrui. E’ un po’ come se ognuno di noi fosse al centro di un cerchio, esattamente come i giocatori di calcio della Playstation: se qualcuno entra nel tuo cerchio, commette fallo. Qualcuno che possa entrare all’interno del nostro cerchio esiste, ma soltanto nel momento in cui glielo permettiamo: solo in questo caso non è considerato fallo.

Ok, lo devo ammettere, il mio cerchio forse è un tantino più grande rispetto ad un qualsiasi altro cerchio, ma non posso e non voglio farci niente. Quando ero più piccola, l’area del mio cerchio era talmente sconfinata che le persone intorno dovevano urlare per riuscire a comunicare con me; era un’arena talmente vasta che dovevo sforzare terribilmente gli occhi per vedere cosa ci fosse al di là, tanto che adesso mi ritrovo ad essere miope da entrambi gli occhi.

Crescendo mi sono accorta che così proprio non andava, e allora mi sono impegnata e ci ho lavorato, tanto da rendere il mio cerchio poco più grande di un hula hoop.

Peccato che poi abbia dovuto fare i conti con chi ha approfittato di questa vicinanza, con chi non ha avuto rispetto del mio spazio, pensando di poterci fare tutto quello che voleva.

E quindi eccomi qui, costretta a riprendermi il posto di cui ho sempre avuto bisogno, sparando a vista ai possibili invasori se necessario.

So bene quali siano gli atteggiamenti che non posso sopportare, quegli atteggiamenti che  rischiano di invadere il mio territorio. Ma per quanto io possa essere preparata su quello che mi riguarda, mi sento inesperta per quanto concerne lo spazio altrui. Quando mi trovo in un momento di difficoltà, uno di quei momenti in cui avrei soltanto voglia di starmene sdraiata per giorni a crogiolarmi nell’apatia più totale, sono solita ringhiare, lanciare occhiate fulminee e nascondere il mio sguardo alle irruzioni altrui. Ma non vedo mai gli altri comportasi in questo modo…immagino che abbiano modi più eleganti ed efficaci per tenere alla larga le persone…ma quali sono?

Mettiamo che ci sia una persona che vi è molto cara, e che questa persona stia attraversando uno di quei “simpatici” momenti che la vita ti regala senza che tu glielo abbia chiesto, uno di quei periodi infiniti e senza mezze misure, da cui puoi uscire in frantumi oppure più forte di prima. Mettiamo che voi vi foste accorti di questo temporale e vogliate star vicino a questa persona: come lo fareste?

Le chiedereste se ha voglia di parlare? – Io credo che se ne avesse voglia lo farebbe, e non avreste bisogno di domandarlo.

Cerchereste di darle dei consigli? – Io credo che le esperienze di vita di ciascuno siano talmente soggettive e particolari da non poter essere equiparate in nessunissimo caso.

Direste semplicemente “se hai bisogno ci sono” e poi aspettereste nell’ombra? – Chissà che quella persona non pensi che avete onestamente svolto il vostro compitino e che in realtà non ve ne importi un bel niente.

Avverto la presenza di margini aleatori e sottilissimi tra il rispetto degli spazi altrui e la barbara invasione di quegli stessi spazi. Servirebbero le istruzioni, ma so che non esistono. Dovrei trovarla da me la soluzione, il punto di incontro, ma ho troppa paura di far male e farmi male.

Non accontentarti mai, non svenderti mai.

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Avrei tanto voluto che i miei genitori  mi insegnassero fin da piccola a non accontentarmi delle vie di mezzo, a non accontentarmi del “meno peggio”, a non svendere me stessa in cambio di un po’ di compagnia e un briciolo di comprensione.

Ma purtroppo non è andata così, e ho dovuto imparare a mie spese cosa sia il rispetto per se stessi, a discapito delle regole sociali e di tante morali del cazzo.

Alla veneranda età di 30 anni, mi sono improvvisamente resa conto che non avrò altre vite a disposizione per provare altre strade; e quindi, se voglio qualcosa per me, devo cercare di conquistarla adesso. E se alla gente intorno non sembra giusto….che si fotta. Tutta quanta.

Normalmente sono molto pacata e gentile col mondo intorno (anche se da qualche espressione colorita poco sopra si potrebbe evincere il contrario), e non vorrei dover essere costretta a cambiare questo mio aspetto “educato” che apprezzo molto quando lo trovo anche negli altri. Ma non esisterà più che, per essere educata, io vìoli me stessa e mi faccia pestare i piedi senza aprir bocca.

Tante, tante e tante volte ho abbassato la testa e ho lasciato che mi facessero del male pur di non scontentare gli altri. Questi “altri” che però non meritavano affatto tutto il mio dolore. “Altri” che neanche si rendevano conto di quel dolore. Altri che, pur vedendolo, non apprezzavano il mio sacrificio.

Forse, parlando così in termini generali, è un po’ complicato rendere il concetto, mentre vorrei che fosse ben chiaro. E non tanto perchè altri lo capiscano, ma perchè io stessa, rileggendo queste righe tra qualche tempo, possa ricordare vividamente cosa sto provando adesso: il coraggio di essere me stessa, la consapevolezza di ciò che voglio e di quello che non voglio, il rispetto per la me piena di difetti che deve pretendere questo stesso rispetto anche dagli altri.

Ho smesso di rincorrere, sperare e desiderare la presenza di persone che mi hanno ferita in passato e che non meritano il mio impegno. Non perchè io sia speciale, diversa o chissà cos’altro, ma semplicemente perché ho il dovere di proteggermi dalla gente intorno che non è sempre disposta a fare attenzione a non calpestare i sentimenti altrui. Ho smesso, lo confermo, ma resistere alla tentazione di cascarci di nuovo è difficile. E’ difficile per tutto il cuore che ci ho messo al tempo in cui certe relazioni sembravano poter funzionare davvero. E sono consapevole che i grandi e piccoli pezzetti di cuore che ho regalato, non mi saranno restituiti.

Spero che il cuore rimasto sia abbastanza per far felici le persone che verranno.