La ferita da abbandono e la maschera del dipendente

Dopo la ferita da rifiuto, passiamo ad analizzare la ferita da abbandono, che può essere involontariamente inferta al bambino dal genitore di sesso opposto tra il primo e il terzo anno di età. Solitamente la motivazione è la mancanza di nutrimento affettivo, o comunque del nutrimento di cui il bambino sente di aver bisogno.

La maschera messa su per autodifesa contro la ferita da abbandono, è quella del dipendente.

abbandono

Spesso le persone segnate da questo tipo di ferita, hanno un corpo allungato e sottile, ipotonico, con gambe deboli, schiena curva e braccia più lunghe rispetto alle “giuste” proporzioni del corpo. Gli occhi si presentano grandi e tristi, la voce un po’ infantile e lamentosa.

I “dipendenti” hanno spesso l’atteggiamento della vittima, ma sanno essere anche molto sensitivi ed empatici, perché sono i primi ad aver bisogno di attenzione e sostegno da parte degli altri. Si trovano in estrema difficoltà nel fare o nel decidere qualcosa in piena autonomia, ad accettare un no come risposta senza considerarlo un rifiuto più generale nei confronti della propria persona. E’ possibile scorgere in loro un velo di tristezza che li porta a piangere facilmente, fino ad attirare la pietà di chi hanno intorno.  Desiderano essere protagonisti ed avere la propria indipendenza, ma allo stesso tempo sono terrorizzati dalla solitudine.

Tra le patologie che si riscontrano con più frequenza in una persona che ha subìto la ferita da abbandono, ci sono problemi alla schiena, asma, bronchite, emicrania, ipoglicemia, agorafobia, diabete, miopia, isteria, depressione e alcune malattie rare.

La maschera del dipendente trasforma anche l’adulto in un bambino piccolo in cerca di attenzioni e con il terrore di essere lasciato solo, anche se come facciata cerca di risultare forte e indipendente. Questa ferita viene alimentata ogni volta che la persona che soffre di abbandono lascia per strada un progetto che gli stava a cuore, o semplicemente quando non si prende cura di se e dei propri bisogni.

Anche in questo caso non è possibile proporre un elenco di soluzioni che ci permettano di curare la ferita, ma possiamo facilmente capire quando è in via di guarigione: se si comincia stare bene anche da soli, quando si smette di cercare insistentemente l’approvazione altrui e si ha il coraggio di cominciare e portare a termine nuovi progetti pur se non appoggiati dagli altri, allora siamo sulla buona strada.

 

Approfondiamo la ferita da abbandono

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E tu che maschera indossi?

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Si fa tanto parlare di autostima, di come accrescerla e rafforzarla, di quali siano le strategie, i trucchi e le pseudo-magie che dovrebbero, finalmente, farci sentire sicuri ed in armonia con noi stessi e con il mondo circostante.

Non so se anche a voi è capitato di provarci e quali siano stati poi i risultati: per quanto mi riguarda, i miei tentativi sono miseramente falliti.

Poi qualche giorno fa, per puro caso, mi sono imbattuta in qualcosa che mi ha regalato un nuovo punto di vista da cui ripartire.

Un’amica mi ha chiesto la cortesia di acquistare un libro su Amazon per suo conto; una volta messo nel carrello, è comparso il seguente avviso: “con l’acquisto di questo libro, la spedizione è gratuita se raggiungi la cifra di 25,00 euro”. Mi sono accorta che effettivamente mancavano pochi euro, quindi ho pensato di approfittarne per comprare un libricino per me. Tra i libri suggeriti (in base alle ultime letture acquistate e alle tendenze del momento), compariva il libro “Le 5 ferite e come guarirle” di Lise Bourbeau. Ho letto le recensioni degli utenti che lo avevano acquistato, e il responso era più o meno sempre quello:” offre spunti di riflessione molto interessanti, adatto a chi ha intrapreso un percorso di crescita interiore, ma non fornisce alcuna soluzione”. Quindi, incuriosita, ho cominciato a girovagare per il web in cerca di qualche informazione in più, e ho trovato migliaia di riferimenti a queste 5 fantomatiche ferite.

Il succo è questo: molti di noi, in età infantile, hanno subito dei “torti”, se così vogliamo chiamarli, ricavandone in seguito ferite emotive molto profonde che non sono riusciti a sanare. Queste ferite sono state procurate in modo inconsapevole (si spera) dai nostri genitori o da persone a noi molto vicine, probabilmente perché loro stessi sono stati oggetto di questa dinamica in tenera età (ma non avendola individuata e “curata”, l’hanno riproposta automaticamente senza saperlo).

Nel momento in cui la ferita è stata inferta, il bambino ha attuato un meccanismo di difesa: la maschera, che è appunto la risposta che il bambino ha trovato a suo tempo per sopravvivere nel modo migliore alla ferita.

Secondo la psicoanalisi, si possono distinguere 5 ferite principali, con le rispettive 5 maschere:

  1. la ferita del rifiuto e la corrispettiva maschera da fuggitivo
  2. la ferita da abbandono e la maschera da dipendente
  3. la ferita dell’umiliazione con la corrispondente maschera da masochista
  4. la ferita del tradimento e la maschera del controllo
  5. la ferita dell’ingiustizia e la maschera del rigido.

La maschera dà vita ad un vero e proprio personaggio, con modi di pensare, di parlare, di muoversi, di respirare, ecc. Pare infatti che si possa fare una diagnosi approssimativa di una persona basandosi sull’osservazione di tutte queste variabili: pare sia possibile scoprire quale sia la nostra ferita “prevalente” (in ogni persona possono esserci più ferite aperte) anche soltanto osservando la nostra “forma” fisica.

Nei prossimi giorni posterò, uno per volta, i profili relativi alle 5 ferite: non sarà certamente la risposta a tutti i dubbi che ci siamo sempre posti, ma può sicuramente rappresentare un buono spunto di riflessione, una diversa prospettiva per avere uno sguardo rinnovato e curioso su aspetti che, magari, avevamo sempre dato per scontato. Per me, almeno, è stato così.