Diversi ma uguali

Qualche mese fa sono andata in ospedale per una visita gastro-enterologica; da quasi un due anni mi porto dietro la cosiddetta “malattia da reflusso gastro-esofageo” e tutta un’altra serie di problemi ad essa correlati. Ad ogni modo, con l’aiuto dei gastroprotettori (“inibitori della pompa gastrica” li chiamano), riesco a stare decentemente e a concedermi qualche sfizio una volta ogni tanto. E quel giorno avevo proprio voglia di far felice la bimba golosa che è in me, quindi mi sono lasciata tentare dal “paninaro” che emanava odore di salsiccia proprio fuori dall’ospedale.

Mentre aspettavo il mio hamburger con ketchup e maionese, una donna sulla quarantina ha ordinato il suo panino sfoggiando un accento molto strano. Non solo non riusciva a pronunciare la lettera “s”, ma per giunta la trasformava in “sc”. Cercherò di scimmiottare il breve dialogo tra lei e la signora al banco per darvi un’idea:

-Vuole anche le salse?

-“Sci”

-Quale salsa preferisce?

“Sciolo” la “maionesce”

Sentendo questo strano modo di parlare, mi è venuto spontaneo girarmi per capire se avesse in bocca un apparecchio o chissà cos’altro che le impedisse di pronunciare correttamente la lettera S. E solo a quel punto ho notato una serie di cose a cui, ad una prima occhiata distratta, non avevo fatto caso.

Era una donna coi capelli corti, neri, poco sopra le spalle. Il seno era un po’ troppo alto e sodo per essere vero. I piedi nelle infradito saranno stati una misura 42, e sul viso intravedevo l’ombra di una barba solo momentaneamente assente, come fosse “tenuta a bada” ma pur sempre presente sottopelle e sul punto di sbucare. Sul braccio aveva delle bende bianche e una canula per aghi, tipico di qualcuno che deve fare molti prelievi o ricevere molte cure per vena (forse cure ormonali?).

Ho pensato a quanto dovesse essere difficile essere lei. Nascere in un corpo che sentiamo sbagliato può capitare a chiunque, non devi necessariamente essere transessuale per sentire che il corpo in cui abiti non ti appartiene. Ma se spesso un po’ di dieta, il trucco o un piccolo ritocco chirurgico sono in grado di “riparare” ciò che avvertiamo come sbagliato e che ci fa sentire a disagio, per alcune persone la strada non è così breve e semplice.

Anche soltanto immaginare le continue lotte di quella donna per arrivare ad essere definita tale dal mondo esterno, mi hanno fatto riflettere su quanto poco apprezziamo ciò che già abbiamo la fortuna di possedere per natura. Passiamo anni (o addirittura l’intera vita) a combattere la cellulite, le palpebre cadenti e la pancetta, cercando di imitare i modelli stereotipati che ci vengono inculcati dalla pubblicità e dai media in generale. Specialmente noi donne. Ci sentiamo imperfette, insicure, inadeguate. E non pensiamo che possa esistere anche solo una persona al mondo talmente disperata da essere disposta a vendere l’anima al diavolo per diventare esattamente come noi, difetti inclusi.

Non vorrei che questo diventasse un discorso retorico, perché neanche io credo che ci si possa sentire meglio pensando che c’è chi sta peggio di noi. Sarebbe come darla vinta ai nostri genitori che ci costringevano a mangiare, ripetendo:”Non si butta via il cibo, perché ci sono bambini in Africa che tutti i giorni muoiono di fame e darebbero tutto per avere quello che stai gettando via”; quei paragoni hanno generato soltanto una popolazione fatta di adulti piena di sensi di colpa, niente di più.

Però trovarmi a tu per tu con una realtà così diversa dalla mia, una realtà che immagino tremendamente complicata in ogni momento, mi ha sicuramente portato a riflettere.

E alla fin fine, se ci penso bene, si riduce tutto ad una questione di equilibrio. Equilibrio nel mangiare, equilibrio ormonale, equilibrio interiore. La maggior pare di noi nasce perfettamente centrata e bilanciata, ma poi crescendo le cose cambiano, vuoi perchè veniamo maltrattati, vuoi perchè veniamo troppo coccolati, vuoi perchè la realtà che ci circonda ci mette alla prova e non sempre ne usciamo vittoriosi.

Ma non sembra anche a voi che “l’equilibrio” sia una condizione tremendamente noiosa? Credo che essere “misurati” sia considerato il presupposto necessario ad una vita felice dalla stragrande maggioranza delle persone; e io questa cosa la temo. Ultimamente ho imparato a mie spese che trasformarsi in ciò che gli altri reputano giusto sia un errore madornale, e quindi mi viene il dubbio che anche tutta questa faccenda dell’incitare le persone all’equilibrio sia soltanto un artificio che quei “pochi potenti” utilizzano per controllare i popoli di questa terra.

E allora come si fa? Forse dovremmo provare quanto meno a combinare equilibrio e sregolatezza? Il “troppo” non è ben visto, ne in positivo ne in negativo. Mangi troppo? Non va bene, ingrassi. Bevi troppo? Non va bene, ti fa male. Sei troppo magra? Mangia, o morirari. Ridi troppo? Basta, che dai fastidio. Sei troppo serio? E fattela una risata ogni tanto!

Ok, forse è vero che come dicevano i nonni il troppo stroppia. Ma se quei “troppo” non li proviamo mai (perchè qualcuno ci vieta di farlo, perchè abbiamo paura di essere rimproverati, perchè temiamo di uscire dalla retta via) come facciamo a capire se quel centro ci sta stretto o se è della nostra giusta misura? L’unico modo per trovare una risposta, è provare. Ma trovare il coraggio per farlo non è da tutti.

E poi, a pensarci bene, l’equilibrio non è soltanto un momento di immobile stabilità tra alti e bassi? Dura solo un istante, perché l’equilibrio perfetto non può esistere. E quindi forse la carta vincente è semplicemente imparare a gestire quei dislivelli in ogni momento della nostra vita, affinché non diventino troppo alti, o troppo bassi.

Tu, il mio equilibrio

equilibrio

L’amore non muore di morte naturale. Muore per abbandono e negligenza. Muore per cecità e per indifferenza. E avendolo dato per scontato. Spesso le omissioni sono più letali degli errori consumati.

Alla fine, l’amore si estingue per inanità. Per non essere stato coltivato. In effetti, non cessiamo di amare più di quanto l’amore sboccia. Quando l’amore muore, uno o entrambi i partner lo hanno trascurato, non hanno saputo nutrirlo e rinnovarlo. Al pari di ogni altra entità che vive e cresce, per mantenerlo vitale l’amore esige sforzo.

A questa celebre citazione di Anaïs Nin, figlia del compositore cubano Joaquín Nin, potrebbe esserci tutto o niente da aggiungere. D’altronde il detto parla chiaro:”a buon intenditor, poche parole”. E del resto, capita spesso che ad aggiungere qualcosa, vengano meno l’essenza e la bellezza a cui poco prima eravamo riusciti a dar vita. Ma visto che il blog è mio e che posso scriverci quello che mi pare, sento di doverci mettere del mio, per quanto personalmente già mi sia chiaro il significato profondo di quelle parole.

Mi piace pensare all’amore come ad un figlio, ad una sorta di creatura che nasce e cresce tenendo per mano le due persone che le hanno dato la vita (che poi siano un lui e una lei, due lei o due lui, questo poco importa). Come un bambino che ancora non sa capire il mondo, così l’amore ha bisogno di scoprire a fondo la propria natura, ha bisogno di essere nutrito ogni giorno, di essere coltivato e coccolato. Avete mai conosciuto un bambino sereno, i cui genitori siano stati sempre e soltanto capaci di maltrattarlo e trascurarlo? Io no. E allo stesso modo, un amore che nasce per essere poi dato per scontato, non è un amore sano.

Quando ero più piccola, davanti a parole come queste immaginavo di dover ripetere come un mantra a me stessa e agli altri “sono innamorata, sono innamorata”; e qualsiasi discorso o accadimento mettesse in dubbio il mio sentimento, andava subito calpestato senza neanche essere preso in considerazione. Avevo una fottuta paura, una mattina qualunque, di svegliarmi e sentire di non essere più innamorata della persona che avevo a fianco. Ma “coltivare” l’amore non è questo. E’ piuttosto essere parte attiva di un gioco di squadra, il cui campo è sempre e soltanto quello del confronto, mai dello scontro. Perché quando due compagni di squadra cominciano a sfidarsi tra loro senza cercare di comprendersi, la partita è persa in partenza. Quando si è fuori dal campo di gioco, ognuno singolarmente ha il dovere di lavorare su se stesso come individuo, al fine di capirsi a fondo e poter donare all’altro, e all’amore che li unisce, una persona ogni giorno sempre più forte e stabile, capace comunque di mettersi sempre in discussione, ma mai di farsi scendiletto o zerbino che dir si voglia.

Per me, l’amore è tutta una questione di equilibrio: non troveremo mai un’altra persona in tutto e per tutto identica a noi, con lo stesso “peso specifico”, da mettere seduta ad una precisa distanza soltanto per non correre il rischio di cadere e farsi male. Certamente possiamo trovare una persona con un peso specifico diverso, ma che sia disposta, come lo siamo noi, a venirci incontro o fare un passo indietro nel momento opportuno, al fine di mantenere l’equilibrio perfetto che consenta ad entrambi di non cadere mai. E per ottenere questo equilibro, servono impegno e attenzione. In caso contrario, nel caso in cui mancassero l’impegno e la dedizione necessari, il salto nel vuoto potrebbe fare molto male.