Ninfee Nere -Michel Bussi

Una musica sapientemente orchestrata, perfetta in ogni dettaglio, che ti fa trattenere il respiro fino alla fine…e che neanche alla fine ti lascia libero di respirare un’aria che non sia quella di Giverny, di Monet e delle sue ninfee. Bellissimo.

Questo è stato il commento a caldo che ho scritto ieri sera un attimo dopo aver terminato la lettura di Ninfee Nere, di Michel Bussi.

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Me lo avevano consigliato in tanti, o quanto meno tutti quelli che condividono la mia stessa passione per i gialli. Ma non gialli qualunque: quelli pensati e scritti davvero bene, che ti danno l’illusione di essere sulla strada giusta per scovare il colpevole, che ti fanno dire:”ma certo, l’assassino sarà sicuramente lui, devo solo capire perchè”; e invece poi ti rendi conto che non avevi capito proprio niente, che quell’indizio era stato messo lì per mandarti fuori strada, e che dovrai soffrire fino all’ultimo secondo, fino a quando finalmente lo scrittore deciderà che è giunto il momento di scoprire le carte e spiegarti tutto per filo e per segno, lasciandoti senza parole.

Il romanzo di Bussi è uno di quei gialli, talmente ingarbugliato da farti venir voglia di lanciare il libro per aria e arrenderti da tanto i fili della matassa sono intrecciati; per fortuna, però, la curiosità la fa sempre da padrona, e allora ti addentri nella storia, nel giardino con lo stagno di ninfee, tra i quadri impressionisti di un’epoca che nel piccolo villaggio di Giverny sembra si sia fermata a quegli inizi del 1900.

Una serie di omicidi, un ispettore, Monet e il mistero delle Ninfee Nere, quadro che si dice il pittore abbia dipinto in punto di morte. E infine 3 donne: Fanette, una bambina di 11 anni appassionata di pittura, Stéphanie, la seducente maestra elementare del villaggio, e infine la “vecchia strega” ottantenne del mulino delle Chennevières. Tre donne molto diverse con un segreto in comune, segreto persino a loro stesse, tutte e tre smarrite in un labirinto inestricabile in cui spazio e tempo si deformano fino all’inverosimile.

Si è capito che ho apprezzato moltissimo questo libro e che lo consiglio?

Buona lettura.


Appunto qui alcune citazioni che mi hanno particolarmente colpita, probabilmente perchè rimandano alla mia vita in maniera precisa e pungente:

“Perchè fuggire…La risposta alla sua domanda è banale e vecchia come il mondo, è la malattia delle ragazze che si sognano diverse […]. Nessuna scusa, nessun alibi. Solo la noia e la certezza che la vita sia altrove, che da un’altra parte esista una complicità perfetta, che quei capricci non siano dettagli ma cose essenziali….E che nulla conti più di poter condividere la stessa emozione davanti a un quadro di Monet o a un verso di Aragon.” – Ninfee Nere (pag.287)


“La mia immagine mi esplode in faccia. Dev’essere una foto di almeno quarant’anni fa. Sono io? Sono proprio miei quegli immensi occhi malva, quel sorriso a cuore, quella pelle madreperlacea sotto il sole di una bella giornata di Giverny? Avevo dimenticato quant’ero bella. Forse bisogna aspettare di essere un’ottantene rinsecchita per avere il coraggio di dirselo.” – Ninfee Nere (pag.366)


“A chi interessano queste cose oggi? Con chi lamentarsi? Esiste un ufficio delle vite perdute?” – Ninfee Nere (pag.385)

 

La verità sul caso Harry Quebert – Una lettura avvincente!

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Io e la suspence viaggiamo decisamente su due binari paralleli che non si incontreranno mai: nel solo titolo ho già anticipato sia il titolo del libro che il mio spassionato parere in merito. Perché mai qualcuno dovrebbe quindi voler leggere tutta la manfrina scritta qui sotto? Un motivo in effetti non c’è, ma sono certa che, se qualche curioso come me ancora esiste, vorrà capire il perché del mio entusiasmo.

Premetto di aver soltanto “ascoltato” su Storytel il romanzo di Joël Dicker, letto ad alta voce da Gioele Dix (bravissimo). Il tempo di ascolto non lo definirei piccolissimo: 19 ore e 30 minuti. Ma nessun minuto è stato superfluo o scontato, e probabilmente l’aspetto che più ho apprezzato di questo giallo è proprio quello che riguarda la la struttura: è articolata, complessa, intrecciata, attenta.

A tenerci per mano durante un viaggio che ci conduce indietro e di nuovo avanti nel tempo, è il giovane scrittore Markus Goldman. Nella sconosciuta cittadina americana di Aurora, nel 1975, una ragazza scompare. Poi, nel 2008, quando tutti credevano che quel caso sarebbe rimasto ormai irrisolto, qualcosa sconvolge l’apparente tranquillità di Aurora e dei suoi cittadini, e l’America intera comincia ad interessarsi ad una storia che sembrava ormai dimenticata.

La storia di Nola Kellergan, appena sedicenne nell’estate 1975 in cui è scomparsa, torna prepotentemente a scuotere gli animi di chi la conosceva e a cambiare la vita di Markus Goldman, ormai da mesi alle prese con “il blocco dello scrittore”. Al tempo dei fatti, il suo amico nonché scrittore di fama mondiale Harry Quebert aveva soltanto 34 anni, e al termine di quell’estate rimasta indelebile nella memoria di Aurora, dette alla luce il suo romanzo più riuscito: “Le origini del male”.

Ma cosa ne è stato di Nola Kellergan? E cosa c’entra con lei Harry Quebert? I cittadini di Aurora sanno davvero così poco come raccontano?

Un passo dietro l’altro, Markus Goldman ci accompagna in un’indagine piena di colpi di scena, in cui niente viene dato per scontato. L’intreccio è talmente curato nei minimi dettagli, che già dopo un’ora di ascolto mi sono ritrovata a digitare su Google “la verità sul caso Harry Quebert si basa su una storia vera?”. Mi sono sentita meno stupida quando ho constatato che già migliaia di persone avevano fatto quella stessa ricerca. E non sono soltanto i “fatti” a scuotere il lettore, ma anche (e soprattutto) la psicologia dei personaggi che man mano vanno a dare corpo ad una storia che ha davvero dell’incredibile. Quindi, senza dilungarmi ulteriormente in particolari che potrebbero rovinare la suspence, tutto ciò che mi sento di dire è che consiglio vivamente la lettura di questo romanzo a tutte le persone dall’animo curioso, a cui piace restare col fiato sospeso e vivere con trepidante attesa il momento in cui finalmente, dopo una giornata di lavoro, tutto si ferma e ci si immerge nuovamente in un mondo a cui in fondo non avevamo comunque mai smesso di pensare.

Buona lettura!

Il tuo anno perfetto inizia qui – Recensione

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Ho terminato oggi la lettura del libro in formato ebook “Il tuo anno perfetto inizia qui”, di Charlotte Lucas.

Per il mio compleanno ho ricevuto un bellissimo Kindle su cui sto accumulando più libri di quanti io ne riesca a leggere in un anno intero; ma non credo che sia tutto sommato qualcosa di negativo. “Il tuo anno perfetto inizia qui” rappresenta la lettura di inaugurazione del mio nuovo Kindle, e mi ritrovo dentro sentimenti un po’ contrastanti a riguardo.

L’idea alla base del libro, a mio avviso, è abbastanza carina (se parliamo di una lettura poco impegnativa, da fare a scappa tempo tra “Novecento” di Baricco e “Memorie di una Geisha” di Arthur Golden). Senza spoilerare i colpi di scena (tutti, del resto, molto prevedibili), ecco la sintesi della storia: è la mattina del primo dell’anno, e l’editore Jonathan N. Grief sta portando a termine il suo allentamento mattutino lungo le sponde di un lago nella fredda Germania; quando torna alla sua bicicletta per riprendere la corsa, trova una borsa appesa al manubrio e, al suo interno, solo un’agenda. Intorno non c’è anima viva. L’agenda è già piena di appunti e appuntamenti…dell’anno che deve ancora cominciare. Con l’intento di restituire l’agenda al legittimo proprietario, Jonathan si ritrova a seguire istruzioni e consigli di un perfetto sconosciuto: dire sì ai segni del destino cambierà la vita di Jonathan e non soltanto la sua.

So che da questo breve riassunto poco concreto si intuirà molto poco della storia, ma se vi svelassi ogni dettaglio, tutta la magia sparirebbe.

E adesso cercherò di spiegarvi (e spiegarmi) il perché dei miei sentimenti contrastanti che vi accennavo poco sopra: l’idea alla base del romanzo è molto carina ed accattivante, e la si segue volentieri per capire se le cose andranno come ce le immaginiamo (ovviamente sì). Peccato, però, che questa idea (secondo il mio parere modesto ed assolutamente non richiesto), sia stata buttata lì con un po’ di leggerezza, senza il giusto peso. Avete presente quando siete a lavoro, mancano due minuti alle 20.00, vi resta un’ultima cosa da fare, e cercate di sbrigarvi per togliervi quest’ultima incombenza senza porre la minima cura nei dettagli? Ecco, questa è la sensazione che ho avuto. Sensazione peraltro confermata dagli errori di battitura che ho incontrato qua e là durante la lettura del romanzo.  Un po’ di attenzione in più, sia nella forma che nel contenuto, avrebbe certamente potuto soddisfare le mie aspettative.

Un escamotage a mio avviso molto furbo utilizzato dalla scrittrice, è stato senza dubbio l’utilizzo di frasi fatte e citazioni famose, di quelle che finiscono sul mio “Caro Diario” sotto la categoria “Senso della vita”:

“Non si possono aggiungere più giorni alla vita, ma si può aggiungere più vita ai giorni – Massima cinese”.

Oppure

“Esistono solo due giorni all’anno in cui non si può fare niente. Uno è ieri, l’altro è domani”

E’ presente inoltre un rimando continuo alla famosa “Legge di attrazione”  (per chi non sapesse di cosa sto parlando, lascio qui un link per curiosare in proposito:La legge di attrazione), che negli ultimi anni sta più che mai prendendo piede in tutto il mondo. Il riferimento più esplicito è probabilmente questo:

“Ogni volta che dirigiamo i nostri pensieri su ciò che desideriamo, la probabilità di ottenerlo è molto più forte di quando continuiamo a prendercela con le cose che non vogliamo. Perché noi dirigiamo la nostra attenzione proprio su quelle cose che vorremmo evitare”.

Potrei continuare per una buona mezz’ora a riportare citazioni famose e non, tratte da questo romanzo, ma non ne sento la necessità, e sono certa che non la sentiate neanche voi.

L’idea che mi sono fatta di questo racconto, è che si tratti di un racconto molto “furbo”, creato ad hoc per vendere molte copie più che per rimanere nella storia. Non mi sento di dare un giudizio in merito; ognuno è libero di scrivere come e per quello che gli pare, che siano i soldi, la gloria, o la mera soddisfazione personale.

In definitiva, mi sento di consigliare questa lettura solo nel caso in cui abbiate voglia di qualcosa di leggero e affatto impegnativo, in un momento della vostra vita in cui possiate essere tolleranti nei riguardi di scenette poco realistiche ed errori di battitura.

Buona lettura.

Memorie di una Geisha – Recensione

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Memorie di una Geisha – Arthur Golden

 

Erano anni che aspettavo il momento giusto per leggere questo libro, e finalmente, non so per quale ragione, finalmente è arrivato. Come e perché le storie di certi libri arrivino a noi proprio nei momenti più opportuni, resterà sempre un mistero.

L’attesa di questo romanzo è stata largamente ripagata, ma c’è un però. Purtroppo, proprio mentre leggevo la prima metà del libro, sono incappata nella pubblicità del film tratto proprio da questo romanzo, e la tentazione è stata così forte che non ho potuto far altro che cedere, mettere sul Canale 8 e guardarlo in preda ad una feroce curiosità. Questo ha significato conoscere l’intera vicenda (finale incluso) in poco più di un’ora, e tutto questo moltissime ore prima che potessi terminare la lettura. E’ stato un errore di gioventù che non credo ripeterò; anche perché, proprio a causa di questa debolezza, mi sono privata della curiosità che solitamente mi accompagna pagina dopo pagina, e mi sono sobbarcata una fatica immane oltre alla smania di arrivare presto alla fine per cominciare un nuovo libro di cui non conoscessi già il finale. Mi è dispiaciuto davvero, ma debolezze a parte, ho davvero amato moltissimo questo libro. Adoro il modo in cui è stato scritto, l’abbondanza di dettagli, le metafore assurdamente nitide e azzeccate usate dall’autore. Pur trovandomi di fronte ad un mondo a me totalmente sconosciuto, grazie a poche chiare immagini ho trovato la chiave per accedervi e sentirmi a mio agio, come se invece, quel mondo, lo conoscessi da sempre. E’ una sensazione strana, che non so spiegare con precisione, ma non credo ce ne sia bisogno: sono certa che se avete letto (o leggerete) questo libro, sapete (o saprete) esattamente di cosa sto parlando.

Ad ogni modo, tralasciando il racconto dei voli pindarici tra i miei pensieri, vi vado a narrare brevemente la storia (senza ovviamente svelare niente che possa togliervi la curiosità 😉

Memorie di una Geisha è il racconto fatto in prima persona della piccola Chiyo, una bambina dagli occhi color ghiaccio che vive a Yoroido, una cittadina di pescatori. A causa della povertà e della malattia della madre, Chiyo e sua sorella vengono vendute e condotte a Gyon, uno dei maggiori quartieri del piacere a pagamento del Giappone.

Dopo un primo periodo passato a lavorare come domestica in una casa per appuntamenti, Chiyo si ritrova inaspettatamente lungo il sentiero arduo e tortuoso che potrebbe condurla a diventare una geisha. Grazie all’aiuto di Mameha e ad una rigida disciplina, anche se non senza impedimenti, Chiyo si trasformerà in Sayuri, una delle donne più desiderate di Kyoto.

Hatsumomo, quella che fino ad allora era stata considerata la perla del quartiere di Gyon, farà di tutto per screditarla ed ostacolarla.

Ci saranno momenti in cui Sayuri penserà di non riuscire a diventare una geisha, altri in cui capirà di non poter scegliere per se stessa, altri ancora in cui sarà soltanto grazie al pensiero del “Presidente” che potrà dare una direzione esatta alla propria vita. Sullo sfondo, intanto, si avvicina pericolosa e inarrestabile la guerra che non risparmierà neppure l’okiya.

Per dare vita alla protagonista, Golden si è ispirato alla geisha Mineko Iwasaki, con la quale ebbe tuttavia un’accesa controversia: essa accusava Golden di perpetuare il mito comune delle geishe come prostitute d’élite, mentre affermava che nella realtà le geishe non sono altro che artiste altamente preparate, dedite al ballo e al canto.

Golden ha senza dubbio dato seguito all’immaginario collettivo sul mondo delle geishe, ma ciò non toglie nulla all’eleganza irresistibile di questo romanzo. Entrare in contatto con questo universo parallelo, è come star seduti sulla bocca di un vulcano addormentato ma, al contempo, sentire sotto la terra, sotto ai piedi, qualcosa che ribolle, che vive e pulsa, come il cuore di una geisha sotto i tanti strati di fruscianti kimono. Pur collocandosi in una precisa epoca storica, ho trovato Memorie di una Geisha  un racconto senza tempo, una memoria accurata di una realtà che vive di rituali e tradizioni millenarie e che riesce ad impressionare ed emozionare.

Visto che davvero non so, con le mie parole, essere persuasiva, tutto ciò che posso fare per darvi un assaggio di questo romanzo è regalarvi alcune delle mie citazioni e “immagini” preferite. Buona lettura!

“Il rimpianto è un tipo di dolore molto particolare; di fronte a esso siamo impotenti. E’ come una finestra che si apra di sua iniziativa: la stanza diventa gelida e noi non possiamo fare altro che rabbrividire. Ma ogni volta si apre sempre un po’ meno, finché non arriva il giorno in cui ci chiediamo che fine abbia fatto”


“Le avversità somigliano a un forte vento, che non soltanto ci tiene lontani dai luoghi in cui altrimenti saremmo potuti andare, ma ci strappa anche di dosso tutto il superfluo cosicché in seguito ci vediamo come realmente siamo, e non come ci piacerebbe essere”


“Le avversità possono essere superate solo immaginando come sarebbe il mondo se i nostri sogni finalmente di avverassero”


“Ma non pensavo a nulla di tutto ciò; anzi, non ragionavo affatto, tentavo soltanto di riordinare almeno in parte i miei pensieri, perché mi cadevano addosso come chicchi di riso che franassero da un sacco bucato”


” Non avrei mai raggiunto Zucca se lei non fosse stata così sfinita da non poter fare altro che vagare per strada alla velocità con cui il fango scivola giù da una collina e più o meno con la stessa determinazione”


” non credo che nessuno di noi possa parlare del dolore finché non ne è fuori”

Seta – Recensione

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Seta – Alessandro Baricco.

Dopo la lettura e il totale imprinting avuto con “Novecento”, non potevo non approfondire la conoscenza di questo scrittore che riesce a rapirmi con racconti semplici, brevi e bellissimi.

Seta è la storia di Hervé Joncour, un giovane uomo che vive in Francia, a Lavilledieu, con la moglie Hélène. Per la maggior parte del tempo (e del racconto), Hervé  semplicemente si guarda vivere, senza ambizioni, desideri o aspirazioni. Solitamente fa ciò che gli altri gli dicono di fare, ma non per questo si sente succube di altri o del destino: a lui va bene così, fin tanto che non insorgono problemi e la sua vita ristagna tranquilla come l’acqua di un lago in un parco.

“Era d’altrone uno di quegli uomini che amano assistere alla propria vita, ritenendo impropria qualsiasi ambizione a viverla. Si sarà notato che essi osservano il loro destino nel modo in cui, i più, sono soliti osservare una giornata di pioggia”.

Siamo intorno al 1860, e Hervé alleva bachi da seta per potersi permettere uno stile di vita più che dignitoso per se’ e la moglie Hélène. Ma poi accade qualcosa: un’epidemia fa ammalare le uova dei bachi da seta, rendendole inutilizzabili in tutta Europa. La routine di Villadieu si rompe e Hervé parte per un lungo viaggio verso quella che chiamano ‘la fine del mondo’. L’incontro col Giappone è mistico e misterioso, tanto quanto la presenza di una ragazzina che stranamente non ha gli occhi a mandorla. Qualcosa fa breccia nel cuore e nei pensieri di Hervé, che forse per la prima volta nella sua vita esce dal seminato, in cerca di qualcosa che neanche lui comprende.

Il richiamo verso l’Oriente è come il canto di una sirena, che ha fatto breccia nella sua anima e lo accende di interesse, di curiosità (di passione?).

Non sta a me svelarlo, ma qui c’è un piccolo suggerimento per i più curiosi, estrapolato da un ben più caldo susseguirsi di parole, immagini e descrizioni:

“signore amato mio, non aprire gli occhi, non ancora, non devi aver paura son vicina a te, mi senti? sono qui, ti posso sfiorare, è seta questa, la senti? è la seta del mio vestito, non aprire gli occhi e avrai la mia pelle”.

Cosa vi viene in mente pensando alla seta? A me non  certo i bachi. La seta è morbida, liscia, scivolosa. Di seta sono le vestaglie da notte, le calze, i completini intimi, gli abiti più eleganti e raffinati. Così, ciò che inizialmente per Hervé rappresenta soltanto il pane che gli permettere di vivere, assume man mano e sempre di più il significato di qualcosa di prezioso e di un po’ proibito, di qualcosa che per la prima volta lo conduce nella dimensione del desiderio, che lo porta a fare una scelta al di là di ogni imposizione esterna.

Non c’è un finale scontato, e quello che sembrava in realtà non è.

Ho amato questo libro tanto quanto “Novecento”, e dietro suggerimento di Judith credo proprio che supererò la paura che mi attanaglia da anni e guarderò entrambi i film tratti da questi due bellissimi libri di Baricco ^_^

Buona lettura a tutti.

Novecento

NovecentoVenerdì sera mi sono seduta sul divano stretta stretta al ragazzo che rende meravigliose le mie giornate da quasi un anno a questa parte. Aveva un mal di testa talmente forte da sentire il senso di nausea anche da fermo, seduto sul divano con gli occhi aperti; e la nausea aumentava se cercava di guardare la tv. Allora l’abbiamo spenta, e lui si è sdraiato sotto al plaid. L’alberello di Natale era acceso, fuori tirava un vento fortissimo. Così, con una mano sulla sua schiena e una a mo’ di leggìo, ho cominciato “Novecento” di Alessandro Baricco. Anzi, per la precisione, l’ho iniziato e finito, bevuto tutto d’un sorso come si fa con un bicchiere d’acqua fresca in una torrida giornata d’estate.

Potrei definirlo un lungo monologo, ma detta così corro il rischio di far spegnere qualsiasi tipo di bollore anche al più accanito dei lettori. Quindi dirò semplicemente che è il racconto di una storia, una storia strana, particolare e coinvolgente nella sua assoluta semplicità.

C’è un piroscafo, che come ogni altra nave viaggia avanti e indietro lungo tratte designate, sempre le stesse. E su questa nave c’è un bambino, che diventa ragazzo e puoi uomo. Voci narrano che sia nato su questa nave e non sia mai sceso, e che per passare le sue giornate suoni il pianoforte maledettamente bene. Pare che suoni una musica nuova, assurda, che non esiste.

Ho fantasticato che lui fosse l’anima di questa nave (ma è solo l’interpretazione di una testa sognante), un’anima che non può mai toccare terra, ma che può soltanto spiarla attraverso i racconti dei suoi passeggeri. Sa più o meno cos’è la terra, l’ha vista tante volte da lontano, e più da vicino quando attraccava in un porto o in un altro. Ma com’era calpestarla e viverci sopra? E il mare? Com’è il mare visto da un’altra prospettiva? Ecco quale potrebbe essere il desiderio di una nave: vedere il mare dalla terra ferma, sentirne il profumo dopo mesi o anni che non lo sentivi, guardare dal porticciolo le onde che si infrangono sulla battigia e ammirare il sole che lentamente cala sulla linea dritta dell’orizzonte infiammando acqua e cielo.

E il pianista sull’oceano invece cosa può desiderare? Scenderà mai dalla nave per toccare terra? Se avrete voglia di dedicare una mezz’ora alle sessanta pagine scarse di “Novecento”, lo scoprirete.

Quando qualcuno mi chiede:”com’è questo libro?”, vorrei non doverlo spiegare, perché mi sembra di non riuscire mai ad essere esaustiva, a spiegare tutto quello che c’è da sapere (senza ovviamente svelare il finale o qualche altro passaggio importante), e tutto quello che invece ha lasciato dentro di me. Allora, semplicemente, vorrei leggergli un pezzetto di quella storia:

Il mondo, magari, non l’aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: ed erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l’anima. In questo era un genio, niente da dire. Sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i libri, quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori odori, la loro terra, la loro storia…Tutta scritta, addosso.

Ho amato questo libro, che con una semplicità disarmante è riuscito a lasciarmi dentro le tracce del suo passaggio. Spero che per voi sia lo stesso.

La vita è dolce se glielo concedi

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Ho appena terminato la lettura di “Musica per organi caldi” di Charles Bukowski.

La prima parola che mi viene in mente pensando a questo libro è “fatica”. Ho davvero fatto una gran fatica a finirlo; avrei voluto abbandonarlo ancor prima di arrivare a metà, ma mi sono obbligata a continuare per poter avere un quadro veritiero e completo. Ho sperato fino alla penultima pagina che qualcosa facesse breccia nel mio cuore, ma su 238 pagine tutto quello che mi è rimasto è unicamente la frase con cui ho intitolato questo post:”La vita è dolce se glielo concedi”.

La seconda parola che associo a questo libro è un aggettivo che non esiste ma che a parer mio dovrebbero coniare e aggiungere allo Zingarelli: “sguasto”. Riassume tutto quello che puoi trovare in questo libro: una manciata di personaggi che definirei sguaiati, anime desolate vestite d’arroganza, personaggi che l’anima forse neanche ce l’hanno più, o quello che ne è rimasto è ormai andato a male, guastato dalla difficoltà della vita. Sono uomini e donne dall’indole violenta, che puzzano di vomito e di alcool a qualsiasi ora del giorno e della notte. Anche gli ambienti sono squallidi, con moquette e pareti intrisi di puzza di fumo; il sesso è usato come merce di scambio, come palliativo all’apatia e alla desolazione più totali. Le piccole vittorie di vite banali, sono elevate a grandi conquiste di cui andare fieri per la vita.

Trovo che Bukowski fosse davvero in gamba nel trascinare lo spettatore in questi ambienti insalubri e pieni di scarafaggi, e per questo tanto di cappello.

Ma a me questa sua caratteristica/qualità è servita soltanto a farmi arricciare il naso più e più volte, senza che poi questo disgusto fosse premiato dalla passione travolgente per la storia narrata.

Troppi episodi, tutti separati tra loro, senza un inizio o una fine. Semplici fotografie di realtà violente e violate, che non avranno mai un lieto fine.

È ovvio che qui si tratta di gusti, e il mio è molto capriccioso e difficile da accontentare. Per questa volta non è andata bene, caro Bukoswki, ma non si sa mai che al prossimo libro tu non riesca ad impressionarmi 😉

La ragazza del treno – Recensione

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La ragazza del treno

Paula Hawkins

Edizioni Piemme (2015)

Ho cominciato a leggere La ragazza del treno di Paula Hawkins un sabato sera di metà Novembre. Ero in un locale del centro, e la musica era talmente alta da costringermi a gridare e scimmiottare per farmi capire (più di quanto noi italiani non siamo già abituati a fare). Così, per evitare di perdere le corde vocali, ho cercato di intrattenermi scuriosando tra le foto e le applicazioni del cellulare. Per puro caso ho trovato questo titolo tra i libri (ebook per la precisione) che avevo scaricato e non ancora letto. Tengo sempre un libro di scorta sul cellulare nel caso dovessi trovarmi in situazioni come questa, in cui non è possibile o non mi va di interagire con il mondo circostante.

Fin dalle prime righe, è stato amore a prima vista, tanto che in una settimana avevo già terminato la lettura. Vi svelo soltanto le prime righe:

Vicino alle rotaie c’è un mucchietto di vestiti. Un indumento azzurro, sembra una camicia, arrotolata insieme a qualcosa di bianco. Potrebbero essere stati buttati tra gli alberi lungo il terrapieno dagli ingegneri che lavorano a questo tratto di linea e che passano di qua molto spesso. Ma potrebbe anche trattarsi di qualcos’altro.

Dapprima ho conosciuto Rachel, la protagonista, un’ubriacona scottata dalla vita che non riesce a trovare una ragione abbastanza forte che la convinca a rimettersi in carreggiata, o meglio, sui binari giusti. Un po’ mi stava antipatica sulle prime, perchè le persone che bevono (troppo) non mi piacciono affatto; col tempo e con la conoscenza, ho iniziato a tifare per lei e rimanevo delusa ogni volta che deludeva anche se stessa. Alla fine del libro avevo imparato a capirla, ad immedesimarmi e a non giudicarla.

Rachel fa la pendolare da Ashbury a Euston tutte le mattine, e il treno si ferma sempre a metà strada, al rosso del semaforo di Witney. Rachel inganna l’attesa scuriosando tra le case al di là della ferrovia, inventando nomi e storie per gli abitanti di quei posti, e pian piano comincia ad affezionarsi ai racconti della sua immaginazione. I viaggi in treno sono un po’ la metafora della sua vita di pendolare tra la realtà e il limbo in cui viene trascinata dall’alcool; è talmente tanto sballottata da una dimensione all’altra, da non riuscire quasi più a distinguerle.

Poi, d’improvviso, la monotonia della quotidianità viene spezzata da una vicenda che sbaraglia le carte delle sue storie immaginarie; e poi ancora un giallo, una sparizione, forse una fuga o un omicidio, amanti, trame che si intrecciano e indagini lacunose, che spingono Rachel a reagire e a riprendere il controllo della propria vita, anche se è continuamente attanagliata dal dubbio che sia tutta una menzogna.

Il racconto scorre veloce e salta dalla protagonista agli altri due importanti personaggi femminili della storia, Anna e Megan. (Occhio a non confonderle mentre si legge: ogni capitolo è contraddistinto dal nome del personaggio che sta per raccontare la storia dal proprio punto di vista).

Ogni personaggio è ambiguo; prima lo odi e ti convinci che è il cattivo della situazione, poi le vicende corrono e ribaltano ogni tua convinzione, un po’ come succede a Rachel nel suo costante tira e molla tra ciò che crede di sapere, e ciò che realmente sa.

Finale inaspettato e non scontato.

Queste sono le frasi che ho evidenziato perchè mi hanno dato qualcosa, che sia un’emozione o solo un ricordo che era già mio ma che avevo lasciato in un angolo a prendere polvere.

1° Citazione:

– “Non so come facciano le altre: il tutto si riduce ad “aspettare”. Aspetti che un uomo torni a casa e ti dia il suo amore. E se non ci riesci, ti guardi intorno e cerchi delle distrazioni”.

2° Citazione:

-“Lui dice che devo imparare ad essere felice e che devo smetterla di cercare il mio benessere fuori da me.”

3° Citazione:

-“…riteneva che la nostra vita fose bella anche sena figli. Siamo felici, non faceva altro che ripetermi, perchè non possiamo continuare così? Alla fine si è stufato di me: non riusciva a capire come si possa soffrire per la mancanza di qualcosa che non si è mai avuto. Mi sentivo sola nella mia disgrazia.”

Buona lettura 😉