Buttarsi o non buttarsi?

 

perfettaFin da quando riesco a ricordare, intraprendere qualcosa di nuovo ha sempre comportato per me sforzi sovrumani.

Da piccola dovevo sempre chiedere il permesso ai miei genitori; genitori che puntualmente mi vietavano di fare qualsiasi cosa. Non era per cattiveria. E’ solo che hanno sempre avuto una mentalità piccola e chiusa, senza sbocchi verso l’esterno, e senza finestre che permettessero al nuovo di entrare. Allora, se proprio non stavo nella pelle e volevo fare qualcosa a tutti i costi, dovevo cimentarmi in bugie acrobatiche degne del miglior politico moderno.

Spesso riuscivo nel mio intento; altre volte no. E le conseguenze erano sempre molto più dolorose di quanto fosse stato necessario.

Quindi la paura di quelle conseguenze è cresciuta ogni anno di più, e adesso mi ritrovo con l’ansia costante per tutto ciò che è nuovo.

Ha senso farlo? La gente cosa penserà? Sono davvero in grado di intraprendere questa avventura? E se poi sbaglio? Che figura ci faccio?! Va be’, lasciamo stare, tanto sto bene anche così.

La resa diventa ogni giorno più facile, ogni giorno sempre più normale.

E’ a causa di questa ostinazione alla rinuncua che ho buttato nel cesso dieci anni della mia vita. Fortuna che alla fine me ne sono resa conto.

E sono fermamente convinta che non buttarsi, equivalga a buttare via tutta la propria vita.

Accontentarsi, privarsi e negarsi le esperienze che in realtà vorremmo fare, probabilmente ci lascia tranquilli nel nostro bozzolo fatto di routine e normalità. Ma quando quel bozzolo diventerà troppo stretto  e comincierà a scricchiolare, allora dovremo comunque fare i conti con le nostre decisioni passate e, più di ogni altra cosa, col rimpianto.

Visto che da tutto questo sono già passata, sapete che faccio? Io mi butto. Preferisco fallire mentre provo a volare, piuttosto che morire piegata su me stessa, soffocata in un luogo buio e senza aria che, ormai da tempo, non era più il mio posto.

Piacere di conoscerti

Questi giorni di festa, sono stati per me giorni di silenzio. Ho tirato le somme di un anno che è stato tanto catastrofico quanto meraviglioso.

È cominciato con la morte di una donna che è stata per me come una madre, ed è proseguito con la decisione di mandare all’aria la mia vita di prima con tutte le sue sicurezze, col divorzio, con l’inganno di quelli che un tempo chiamavo amici. Quante lacrime ho versato; un mare di tristezza solcato da onde rabbiose, furenti, che non hanno lasciato scampo a nessuno. Men che meno a me stessa.

Quando ho riaperto gli occhi, ero distesa sulla riva con i vestiti fradici e strappati, la schiuma copriva le mie gambe per poi rifluire in quel vasto mare stranamente calmo dopo tanta bufera. E proprio sul quella riva, ho trovato qualcuno che mai mi sarei aspettata di incontrare.

Guardando in lontananza, l’ho vista arrivare. Mi sembrava una ragazza, anzi una donna; aveva i capelli lunghi e castani, degli occhi scuri e penetranti, e il sorriso soddisfatto di chi è fiero di se. Più si avvicinava, e più mi sembrava di conoscerla. Mi ha porto la sua mano e mi ha aiutata a rialzarmi. Le ho raccontato quello che mi era accaduto, quello che avevo perso, cosa speravo di trovare. Lei mi ha ascoltato in silenzio, senza proferire parola. Poi mi ha detto soltanto:”sei stata molto coraggiosa. Sono fiera di te”. In quel momento mi sono sciolta e ho ricominciato a piangere, talmente tanto che il mondo attorno diventava sempre più offuscato, fino a sparire. Quando i singhiozzi hanno lasciato il posto ad un respiro limpido e sereno, ho finalmente capito chi era quella donna. Ero io. Era la me che mi abitava dentro da sempre ma a cui non avevo mai dato spazio. Ho temuto per anni che avrebbe potuto mettermi in ridicolo, che mi avrebbe fatto perdere le persone che amavo se solo le avessi lasciato fare, che non mi avrebbe permesso di attenermi al rispetto delle aspettative altrui e delle regole sociali.

Ma in quel momento tutto ciò che avevo sempre pensato, si è dissolto come la nebbia quando arriva il sole ad asciugarla. Ho semplicemente sorriso e detto a me stessa:”ti prometto che ce la metterò tutta per non tradirti mai più. D’ora in poi siamo una squadra, e lotterò affinché tu possa esprimerti ed essere felice”.

È così che comincio il nuovo anno. Con la consapevolezza di essermi “ritrovata” (non senza il prezioso aiuto del ragazzo che ho accanto), e con il buon proposito di rendere felice me e le persone che amo. Nient’altro avrà importanza per adesso; il resto del mondo dovrà aspettare ancora un po’, giusto il tempo di prendere confidenza con me stessa e diventare più forte.

Auguro un felice nuovo anno a tutti voi.

È tardi! È tardi, sai? Io sono già in mezzo ai guai! Neppure posso dirti “ciao”. Ho fretta! Ho fretta, sai?

Alice in Wonderland 3D

Per molti la vita è soltanto una dannata e stupida lotta contro il tempo: lavori per poterti permettere il lusso di arrivare in fondo al mese senza debiti, e perché no, farci scappare pure qualche abbuffata di sushi all-you-can-eat e i soldi per un viaggetto ogni tanto.

Io credo che ci sia di più. E lo credo perché a volte mi capita di scorgere un segnale, una specie di puntino luminoso che brilla al centro della mia anima assopita, a metà tra la superficialità e la pazzia.

Capita che, stordita dal brusio generale che mi spinge a correre da mattina a sera senza interruzione, mi accorga che invece qualcuno intorno a me ha rallentato la corsa per un istante, senza paura di arrivare ultimo, senza smania di arrivare primo (primo davanti a chi poi?), riuscendo a plasmare quel tempo che tanto bramiamo, fino a dargli la forma dei propri sogni.

“Quella è una persona che ha avuto coraggio”, mi dico, “o magari solo fortuna” (che comunque non guasta mai).

E cosa faccio quando scorgo questi segnali? Mi convinco che a me non importa mirare così in alto. A me basta potermi godere quel paio d’ore in fondo alla giornata, abbracciata alla persona che amo, in compagnia dei miei fratelli oppure al pianoforte, o sdraiata sul divano a leggere un buon libro.

Quando il cervello comincia a ragionare così, è necessario fare un reset e ripartire da un’altra prospettiva. Perché quella dimensione, quella del cervello omologato alle aspettative sociali, non ti consente di fare altro se non camminare veloce e a testa bassa, come se qualcuno ti inseguisse, illudendoti di avere la piena consapevolezza di dove stai andando. Ma col cavolo che ce l’hai.

E quando la pizzata con le amiche del martedì sera salta e ti ritrovi sola nel silenzio di casa tua, le grandi domande della vita ti presentano il conto in cerca di risposte, sbeffeggiandoti, ricordandoti che il tempo passa e tu ancora non hai deciso cosa farai da grande.

A trent’anni (quasi trentuno ormai), probabilmente è tardi, o forse non lo è ancora troppo. Ma certamente non si può prescindere dal prendere una decisione, e farlo prima che sia ‘troppo’ tardi.

Decidere in quale direzione andare è sintomo di grande maturità, o forse solo di pazzia; di certo, c’è che ti mette davanti ad una grande responsabilità. Se la strada che scegli dovesse rivelarsi sbagliata, non potresti più dare la colpa al tempo, alle persone, alla vita, come quotidianamente ed inconsciamente fai. La colpa sarebbe soltanto tua.

Chi ha voglia di accollarsi questo peso immane?

Cercare dentro di me la risposta alla domanda:”cosa vuoi fare della tua vita?”, mi terrorizza. Fino ad ora mi sono sempre limitata a rispondere:”voglio essere felice”. E a dirla tutta, dopo un inizio anno disastroso, sono molti di più i momenti in cui mi sento nel posto giusto al momento giusto, che non sull’orlo del baratro. Ma è ovvio che questo non può bastare, perché accontentarmi proprio non mi riesce (seppure io ci abbia provato per anni, come tutti mi consigliavano di fare).

Non sono una che si tira indietro davanti alle responsabilità. Ho sempre lottato per portarle fino in fondo, e mi sono spesso sobbarcata anche quelle altrui (che grave errore!). E forse proprio perché so quanto certe responsabilità possano pesare, sono spaventata all’idea di prenderne di nuove. So per certo che non mi tirerei indietro una volta in marcia; ma prima di partire, ormai da diverso tempo, mi scopro ad indugiare sulla soglia del presente sperando nell’arrivo di una cartomante che guardando nella sua palla di cristallo mi sappia indicare la strada giusta per me. E quindi, nel frattempo, scruto l’orizzonte per vedere se riesco a dare una sbirciatina a ciò che si cela oltre la punta del mio naso. Ma c’è troppa nebbia, tanta che mi offusca i pensieri e non mi permette di avere una rapporto nitido e trasparente neanche con me stessa.

Vorrei che questa nebbia si diradasse, vorrei riuscire a piangere i miei sogni infranti senza farmi definitivamente abbattere dalle passate sconfitte. Vorrei acquisire la consapevolezza che un errore non è un fallimento ma soltanto un’esperienza da cui imparare e ripartire.

Ci sono dei desideri silenti e deboli da qualche parte nella mia testa a cui non so dare una voce.  Mi manca il coraggio, o meglio, mi manca la “cazzimma”, come dicono a Napoli. E’ necessario che io trovi prima di tutto la consapevolezza di meritare la felicità che sto inseguendo, altrimenti continuerà a scapparmi come il coniglio di Alice nel Paese delle Meraviglie, e come la protagonista della fiaba continuerò a sentirmi grande, poi minuscola ed insignificante, e continuerò a provare pozioni magiche che poi magiche non sono, nella speranza che mi cambino la vita in un lampo. Eppure so bene che non c’è trucco che tenga:  l’unica via è la lotta, per se stessi e per la propria libertà di scelta; non esistono scorciatoie.

Sono attanagliata dalla fottuta paura che la vita possa passarmi davanti talmente in fretta da sembrarmi solo un sogno.

Un sogno a cui, se non mi decido a partire adesso, non avrò mai dato la possibilità di avverarsi.

Ho paura del vuoto.

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Ma chi voglio prendere in giro? A chi voglio darla a bere?

Io non sono io, e a questo punto non so neanche se lo diventerò mai.

Mi sento a disagio in questa testa, in questa foresta nera che cerca in ogni modo di sabotare la me che ogni tanto sento bisbigliare da dentro, quando i pensieri si fanno più radi; la intravedo laggiù, oltre lo stomaco, dentro alle scarpe.

A volte faccio e dico cose talmente assurde da non credere di essere stata davvero io a dirle o pensarle; certe volte semplicemente guardo il mio corpo muoversi e ascolto la mia lingua emettere suoni inutili, privi di calore.

Però (parolaccia impronunciabile), da qualche parte, non so dove, io sento di essere qualcosa di più di questo frastuono che mi occupa la testa ogni istante. E solo quando canto, quando scrivo, quando sono persa in un abbraccio o quando ascolto attentamente una canzone, quel frastuono perenne riesco a zittirlo per un po’, e solo allora mi sento più leggera. Non so se quel “qualcosa in più” che credo di essere, sia una bella cosa o meno; però (altra imprecazione dettata dall’impotenza del momento) vorrei davvero poterlo toccare con mano. Solo a quel punto potrei dire “no, in effetti non valeva la pena darsi tanto da fare per scoprirlo”, oppure (magari): “caxxo, ma è una figata, perché non me ne sono accorta prima!”.

Il problema è che ci vuole coraggio per farlo, e io quel coraggio non riesco ancora a trovarlo; la paura di deludere me stessa e gli altri mi attanaglia e mi riduce ad un essere spaventato ed ansioso che cerca di guardarsi dentro e di guarire quanto meno le ferite ancora aperte di quando ero bambina.

E poi, se anche quel coraggio io lo trovassi davvero, so che non sarebbe sufficiente. Purtroppo la mia autostima è pressoché inesistente, se pure io continui a ripetermi che alla fin fine quella che ho mi basta e mi avanza, tanto che me ne frega, io campo lo stesso. E più questa fottutissima autostima si fa minuscola e fragile, più il mostro che abita il mio cervello diventa gigante, ingombrante, rabbioso; basta vedere il disastro che combina quando ogni tanto perdo le staffe e ne perdo il controllo. E’ capace di divorare me e chi mi circonda in una frazione di secondo.

E pensare che molto spesso, quando il mostro sta per sabotarmi ancora, io me ne accorgo pure. Però lo lascio fare: resto impietrita ed inerme ad osservarlo, desiderando nel contempo di diventare invisibile, come a dire: “quel mostro non è mio, io non c’entro niente, io sono un ‘altra cosa. Mettetelo in catene e fatene ciò che volete”.

Quando ho a che fare con persone che non conosco e che non mi conoscono, mi capita spesso di tenere lo sguardo basso come facevo a scuola, quando il prof scrutava i banchi col naso per aria, nell’interminabile trepidazione di chi proprio non sa decidere chi chiamare alla lavagna. Non so a voi, ma a me ogni volta qualcosa cascava inavvertitamente nello zaino e per delle mezz’ore proprio non riuscivo più a trovarlo.

Gli sguardi altrui mi mettono molta ansia, perché do per scontato che siano uguali al mio: arroganti, saputelli, critici e cattivi. Il mio, di sguardo, mi rimprovera continuamnte, ricordandomi quanto sono inadeguata, imperfetta, antisociale, cicciottella, sbagliata e tutto il resto.

Riflettendo a lungo su questa difficoltà nell’accettare me stessa (soprattutto al cospetto degli “altri”), mi sono resa conto di quanto spesso io risulti davvero insulsa e senza grinta. Se qualcuno mi parla, in automatico il mio cervello elabora la frase più breve e priva di personalità possibile per far morire sul nascere qualsiasi tipo di contatto o dialogo. Per dare una spiegazione razionale a questo meccanismo infame, sulle prime ho dato la colpa alla timidezza, dando per scontato che il tempo lo avrebbe aggiustato. In seguito ho pensato che forse di contenuti di spessore, dentro a questo corpo ingombrante, ce ne sono davvero pochi. Poi ho capito che è un semplice e stupido meccanismo di difesa che il mio cervello attua contro la paura: la paura di scoprire che dietro a questo computer, dietro a questi occhiali e dietro a queste parole vane, non ci sia davvero niente di più. Ho paura che se dessi agli altri la possibilità di conoscermi più a fondo, ci troverebbero davvero il vuoto cosmico: a quel punto non avrei più scuse, niente altro con cui giustificare i miei reiterati sbagli, la mia costante imperfezione. Il vuoto mi spaventa più del mostro famelico che mi abita la testa da sempre.

Probabilmente, il fatto di restare sul vago con frasi del tipo “oggi fa freddo”, “a lavoro come va?”, da al mio cervello l’illusione di prendere tempo; in questo modo può aggrapparsi sempre alla speranza di poter dimostrare più avanti il proprio spessore, alla faccia di chi mi credeva insulsa.

Che idiota.

Lo so, tutti i manuali di autostima sono contrari alle frasi dolci e amorevoli che mi rivolgo quotidianamente come fossero un mantra: che cretina; avresti potuto pensarci; non sei buona a niente; se continui così non andrai da nessuna parte.

Ma non riesco a farne a meno. E’ così che sono stata cresciuta dalle persone che avrebbero dovuto amarmi e farmi sentire importante, e ripetermi che sono sbagliata mi da la speranza di potermi riscattare con più facilità: partendo dal fondo, la spinta per risalire dovrebbe essere maggiore.

Devo essere sincera: vorrei davvero mettere fine a questo patetico teatrino messo su dal mio cervello infame. Anche perché sono convinta che qualcosa, oltre questa coltre di nebbia, ci sia davvero. E so che c’è perché è lei che a volte prende il mio stomaco e lo stringe forte fino a farmi male, lei che spinge queste lacrime su fino agli occhi passando per la gola, lei che riesce a farsi amare dalla persona speciale che ho accanto, e che probabilmente ogni tanto riesce a vederla e a parlarci.

Prima o poi anche io la scoverò. Troverò il coraggio di farlo. Spero solo di riuscire ad affrontare con serenità quello che troverò, anche se potrebbe non essere speciale come vorrei.

Non sarai punito per la tua rabbia, sarai punito dalla tua rabbia.

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La rabbia. La mia rabbia.

Che ci faccio con questa rabbia?

Al momento ci faccio solo stare male me stessa e le persone che ho intorno. Direi che non è un gran che.

Non riesco a governarla.

Si impadronisce della mia lingua in meno di un secondo, lega ed imbavaglia i miei pensieri ad una sedia immaginaria e non sono più quella che ero fino a pochi istanti prima.

Non so se capita anche a voi o se questa fortuna sia toccata soltanto a me.

Qualsiasi tipo di sopruso, fatto a me o alle persone che amo, mi fa salire una specie di istinto omicida che si limita ad abbaiare forte senza il minimo controllo. Credo che sia la me bambina che prova a fare la voce grossa da dentro, nel tantivo di far capire agli altri che non devono avvicinarsi, che devono lasciarla in pace. Le spiego continuamente che così facendo passa dalla parte del torto; sento che lo capisce, ma quando arriviamo al dunque, ecco che ci ricasca. E non vorrei che lo facesse, anche perchè sono responsabile per lei; odio dovermi scusare a causa sua.

Non so davvero come gestirla.

Eppure con i bambini sono sempre stata brava. Quando i miei fratellini si innervosivano e iniziavano a pestare i piedi per terra urlando in preda all’ira, riuscivo sempre a distrarli e poi a tranquillizzarli. Perchè con me non ci riesco?

Ho fatto qualche ricerca su google e letto alcuni libri, ma tutti riportano soltanto consigli su come bloccare sul nascere la reazione innescata dalla rabbia.

A me non serve questo. A me serve capire le ragioni della mia rabbia.

Quando esplode, è già troppo tardi per rendersene conto. La miccia dell’ira viene accesa in un lampo e subito va in orbita senza lasciarmi il tempo di decidere, senza lasciarmi scampo.

Questo non vuol dire che io mi stia arrendendo a lei. Ho solo bisogno di sfogare la mia frustrazione e ripartire da un’altra parte, da un’altra prospettiva che mi permetta di capire come vincerla. Non voglio più permetterle di sabotare la mia serenità.

 

 

 

Non accontentarti mai, non svenderti mai.

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Avrei tanto voluto che i miei genitori  mi insegnassero fin da piccola a non accontentarmi delle vie di mezzo, a non accontentarmi del “meno peggio”, a non svendere me stessa in cambio di un po’ di compagnia e un briciolo di comprensione.

Ma purtroppo non è andata così, e ho dovuto imparare a mie spese cosa sia il rispetto per se stessi, a discapito delle regole sociali e di tante morali del cazzo.

Alla veneranda età di 30 anni, mi sono improvvisamente resa conto che non avrò altre vite a disposizione per provare altre strade; e quindi, se voglio qualcosa per me, devo cercare di conquistarla adesso. E se alla gente intorno non sembra giusto….che si fotta. Tutta quanta.

Normalmente sono molto pacata e gentile col mondo intorno (anche se da qualche espressione colorita poco sopra si potrebbe evincere il contrario), e non vorrei dover essere costretta a cambiare questo mio aspetto “educato” che apprezzo molto quando lo trovo anche negli altri. Ma non esisterà più che, per essere educata, io vìoli me stessa e mi faccia pestare i piedi senza aprir bocca.

Tante, tante e tante volte ho abbassato la testa e ho lasciato che mi facessero del male pur di non scontentare gli altri. Questi “altri” che però non meritavano affatto tutto il mio dolore. “Altri” che neanche si rendevano conto di quel dolore. Altri che, pur vedendolo, non apprezzavano il mio sacrificio.

Forse, parlando così in termini generali, è un po’ complicato rendere il concetto, mentre vorrei che fosse ben chiaro. E non tanto perchè altri lo capiscano, ma perchè io stessa, rileggendo queste righe tra qualche tempo, possa ricordare vividamente cosa sto provando adesso: il coraggio di essere me stessa, la consapevolezza di ciò che voglio e di quello che non voglio, il rispetto per la me piena di difetti che deve pretendere questo stesso rispetto anche dagli altri.

Ho smesso di rincorrere, sperare e desiderare la presenza di persone che mi hanno ferita in passato e che non meritano il mio impegno. Non perchè io sia speciale, diversa o chissà cos’altro, ma semplicemente perché ho il dovere di proteggermi dalla gente intorno che non è sempre disposta a fare attenzione a non calpestare i sentimenti altrui. Ho smesso, lo confermo, ma resistere alla tentazione di cascarci di nuovo è difficile. E’ difficile per tutto il cuore che ci ho messo al tempo in cui certe relazioni sembravano poter funzionare davvero. E sono consapevole che i grandi e piccoli pezzetti di cuore che ho regalato, non mi saranno restituiti.

Spero che il cuore rimasto sia abbastanza per far felici le persone che verranno.