Approfondiamo la ferita da abbandono e la maschera del dipendente

Vi è mai capitato, durante una conversazione, di bloccarvi improvvisamente (per rabbia o delusione) quando vi siete accorti che il vostro interlocutore buttava l’occhio all’orologio proprio mentre voi stavate parlando? Per caso in passato siete stati dei bambini deboli e cagionevoli? Siete miopi? Oppure ancora: odiate mangiare da soli e non vi sognate neanche di lasciare qualcosa nel piatto? Se una o più di queste situazioni vi sono familiari, potreste soffrire della ferita da abbandono.

E’ tra il primo ed il terzo anno di età che il bambino vive la ferita da abbandono con il genitore del sesso opposto. Non è raro che ci soffre di abbandono, soffra anche per il rifiuto: un bambino può sentirsi rifiutato dal genitore dello stesso sesso, e abbandonato da quello di sesso opposto che (secondo lui) avrebbe dovuto impedire all’altro genitore di rifiutarlo. Un po’ un cane che si morde la coda a leggerlo così: ma quando siamo piccolissimi, non abbiamo riferimenti e punti saldi che ci consentano di razionalizzare ciò che succede intorno a noi, e quindi mano a mano ci costruiamo una maschera che ci aiuti ad alleggerire la sofferenze che proviamo: in questo caso, la maschera del dipendente. Quella da abbandono è una ferita che dovremmo cercare di guarire al più presto, perché finché continueremo a soffrirne e ad essere in collera (inconsciamente o meno) con uno dei nostri genitori, le relazioni con le persone dello stesso sesso di quel genitore saranno complicate anche in età adulta.

Ma di cosa soffre un dipendente? Del non sentirsi “nutrito” dal punto di vista affettivo. Questa mancanza, paradossalmente, si riflette spesso nell’ostentazione di un apparente sicurezza: chirurgia estetica e sviluppo eccessivo dei muscoli attraverso il body-bulding sono i mezzi più utilizzati. Ma più semplicemente, in ogni situazione in cui cerchiamo di nascondere il nostro corpo agli altri, stiamo in realtà cercando di nasconderlo a noi stessi, insieme alle ferite che esso riflette.

Il dipendente lo si può riconoscere spesso nei panni di “salvatore”; non è inusuale che si comporti da genitore nei confronti dei fratelli, o che cerchi in tutti i modi di salvare dalle difficoltà la persona che ama; in ogni caso cerca di farsi carico di responsabilità che non sono sue, e questo gli provoca spesso forti mal di schiena.

Altra caratteristica del dipendente, sono gli “alti e bassi”: per un periodo è felice e spensierato, poi improvvisamente si sente triste e abbattuto; il fatto che non ci sia una causa scatenante lo porta a riflettere (il che non vuol dire che arrivi alla risposta che sta cercando). Potrebbe essere forse la paura della solitudine la spiegazione dei suoi crolli? Di certo, il dipendente avverte più di qualunque altra maschera il senso profondo della tristezza, senza poter minimamente indovinare da dove essa scaturisca. Cercare la presenza degli altri può aiutarlo a ricacciarla, così come abbandonare la persona o la situazione che (secondo lui), è causa di questa tristezza.

Ciò che più anela, è il sostegno, l’approvazione altrui. Spesso può passare per uno che ha difficoltà a prendere decisioni, ma in realtà se dubita della propria scelta è perché ha paura di non trovare il consenso degli altri.

Coloro che soffrono della ferita da abbandono, sono spesso in conflitto con se stessi perché, se da un lato vorrebbero molte attenzioni, dall’altro temono che chiedendone troppe possano disturbare ed essere per questo definitivamente abbandonati. La stessa cosa succede quando sono in coppia: molto spesso preferiscono credere che tutto vada a gonfie vele solo per la paura di essere abbandonati, o addirittura lasciare per non essere lasciati (sembra assurdo vero?).

Il “brutto vizio” di chi soffre di abbandono, è credere che comportandosi in modo sempre carino e gentile con gli altri, anche gli altri si comporteranno di conseguenza, cercando di non risultare freddi o autoritari nei suoi confronti. Ma mai credenza fu più sbagliata, e ogni atteggiamento “brusco” che inevitabilmente gli si presenta davanti, fa scoppiare il lacrime il dipendente. Tra i pro, c’è sicuramente la forte empatia che riesce a provare nei confronti degli altri; ma anche questa può diventare un arma a doppio taglio quando si lascia invadere del tutto dalle emozioni altrui.

Chi soffre di ferita da abbandono potrebbe soffrire anche di agorafobia: spesso definita “fobia degli spazi aperti e della folla” (anche un supermercato rientra in questa definizione). Gli agorafobici hanno il timore del giudizio degli altri in relazione allo stare male in pubblico, oppure temono di stare male in situazioni o luoghi in cui non potrebbero essere soccorsi o da cui non possono fuggire; di conseguenza, si attivano meccanismi di evitamento delle situazioni ansiogene al fine di escludere la possibilità dell’insorgenza del panico.

abbandono

Chi soffre di questa ferita, può avere un corpo allungato, sottile, ipotonico, floscio, con gambe deboli e schiena curva, nonché occhi grandi e tristi. Potrebbe soffrire anche di bulimia.

Ovviamente, a seconda dell’intensità della ferita che ci portiamo dentro, tutte le caratteristiche fisiche e comportamentali descritte fino ad ora potrebbero presentarsi in maniera più o meno evidente. Infatti, oltre ad osservare il nostro fisico e i nostri atteggiamenti, dovremmo fare molta attenzione a ciò che ci disturba: molto spesso rimproveriamo agli altri tutto ciò che noi stessi facciamo e non vogliamo vedere.

(Qui il primo post sulla ferita da abbandono).

Approfondiamo la Ferita da Rifiuto e la maschera del Fuggitivo

Come accennato in questo post, possiamo subire la ferita del rifiuto nel periodo che va dal concepimento al primo anno di età. Non è qualcosa che possiamo ricordare, ed è quindi per questo Lise Bourbeau, scrittrice di “Le 5 ferite e come guarirle”, invita sovente il lettore ad osservare il proprio aspetto fisico per individuare le proprie ferite emotive.

Per il bambino la ferita del rifiuto consiste nel non sentirsi in diritto di esistere col genitore dello stesso sesso, colui o colei che ha il ruolo di insegnarci ad amare ed amarci (il genitore del sesso opposto ci insegna invece a lasciarci amare dagli altri, a ricevere amore). Praticamente quello ferito da rifiuto è un bambino che non si è concesso di essere tale, e che si è sforzato di maturare in fretta pensando che sarebbe stato meno rifiutato.

ferita del rifiuto

Abbiamo già detto che la maschera indossata da chi ha subito la ferita da rifiuto è quella del fuggitivo, e che il corpo di chi la indossa è spesso contratto e striminzito, smilzo o frammentato. Anche gli occhi si presentano piccoli e caratterizzati da un’espressione di paura (a volte si ha come l’impressione che ci sia una vera e propria maschera intorno agli occhi).

Il fuggitivo cerca la solitudine perché, nel caso in cui ricevesse troppe attenzioni, avrebbe paura di trovarsi in difficoltà e non sapere cosa fare. Non è un caso che a scuola (ma anche dopo, nella vita e sul lavoro) abbia pochissimi amici. È il classico tipo solitario con la testa fra le nuvole. Se qualcuno lo interrompe mentre parla, la sua prima reazione è pensare che questo accade perché lui non è importante, e di solito smette di parlare. Ha difficoltà ad esprimere la propria opinione proprio perché si sente insulso e pensa che gli altri la respingeranno. Non è un caso che ricerchi la perfezione in tutto ciò che fa, giacché crede che se compirà un errore verrà giudicato, e per lui essere giudicato equivale a essere respinto.

Il fuggitivo tende continuamente a sminuirsi, paragonandosi a persone che trova migliori e convincendosi di essere peggiore di molti altri. Ha difficoltà a credere che qualcuno possa sceglierlo per amico o che possa amarlo, tant’è che quando viene scelto non è raro che saboti (involontariamente) la relazione. Se invece è qualcun altro a rifiutarlo (il genitore, un amico, un compagno), si autoaccusa pensando che se l’altro lo ha rifiutato è per colpa sua. Purtroppo, più la ferita da rifiuto è forte, più la persona attira a sé circostanze tali da venire rifiutata (o comunque situazioni in cui si trova egli stesso a dover rifiutare qualcuno).

 “Le persone che ci rifiutano entrano nella nostra vita per mostrarci fino a che punto noi rifiutiamo noi stessi.”

La sua più grande paura è di essere colto dal panico (spesso infatti soffre di agorafobia). Se pensa che una data situazione possa provocargli il panico, la sua prima reazione è di scappare e nascondersi. Può cercare di fuggire anche tramite il cibo, ma solitamente predilige alcol e droga.

Come precisato nel post introduttivo, non è detto che chi soffre della ferita da rifiuto abbia TUTTE le caratteristiche qui descritte: tutto dipende dalla profondità di questa ferita.