3° giorno a New York – Flatiron Building, Museum of Sex, Empire State Building

La mattina di Santo Stefano ce la siamo presa comoda, non tanto per pigrizia quanto per cercare di far riavere le nostre gambe e la nostra schiena già distrutte dopo due soli giorni nella Grande Mela. Immancabile la cheescake più buona al mondo.

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Per la prima di altre numerose volte, abbiamo preso la metro nel verso sbagliato capitando a Roosvelt Island (evitatela pure, non c’è alcunchè da visitare), ma fortunatamente ogni 4/7 minuti passa un altro treno e puoi sempre torare sui tuoi passi. Una volta raggiunta Times Square, ci siamo messi alla ricerca di un Big Bus per il Dowtown Tour incluso nel NY City Pass.

Ammetto di non aver avuto il coraggio di fare il tour sul piano scoperto del bus a due piani, e farlo dall’interno non è proprio la stessa cosa. La guida, una signora afroamericana sulla cinquantina, era a dir poco mattacchiona, tanto che spesso si lanciava in performance canore simpatiche ma alquanto discutibili. Consiglio il tour nei primissimi giorni di permanenza a NY, così da avere un’idea del dislocamento delle varie attrazioni che vorreste visitare.

Dopo una rapida sosta in uno dei migliaia di Starbuck’s sparsi per la città, abbiamo raggiunto il Madison Park e il Flatiron building, il palazzo reso famoso dal film Spider-Man e assolutamente riconoscibile grazie alla sua forma a “ferro da stiro” davvero particolare.

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Dopo qualche doverosa foto, abbiamo raggiunto il Museum of Sex a due passi da lì. La visita è stata carina, a momenti curiosa, ma niente di trascendentale e per cui valga assolutamente la pena visitare questo museo interattivo.

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Come ultima tappa abbiamo lasciato l’Empire State Building, che abbiamo risalito in ascensore fino all’80° piano. Da qui, per evitare i 25 minuti di attesa davanti ad un ulteriore ascensore, abbiamo deciso di fare a piedi altri 6 piani di scale…che saranno mai 6 piani di scale: la morte. Però ne è valsa la pena perchè da lì il panorama era davvero mozzafiato. La città vista dall’alto di notte è uno spettacolo davvero imperdibile, che non si può raccontare neanche con le foto.

Prima di rientrare in albergo, ci siamo fermati al 23th Roof Top: si tratta di un locale al 20° piano di un palazzo diviso in due zone, una al coperto con divanetti e tavolini, e una all’esterno (sul tetto del palazzo) cosparsa di igloo trasparenti in cui potersi rifugiare per una bevuta e per smangiucchiare qualcosa.  Purtroppo gli igloo erano tutti occupati, pertanto abbiamo deciso di fare una bevuta e dividere un ottimo hamburger sui divanetti interni con vista sulla città prima di rientrare in hotel intorno a mezzanotte.

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Girare la sera per le strade di NY è assolutamente tranquillo e piacevole, anche con bambini al seguito.

Il mio viaggio “fai da te” a New York

Non è come sembra

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Visto che ultimamente sono in fissa con le foto, eccone tre di scarsa qualità risalenti a quattro anni fa.

Avevo postato su Facebook questa stessa sequenza in occasione del giorno di San Valentino, festa che ogni anno fa molto parlare di se’, che se ne dica bene o che se ne dica male.

A voi cosa suscitano queste tre foto? Anche se già lo immagino, vi spiego quello che avrei voluto suscitassero, così che possiate darmene conferma o meno: volevo far credere che i protagonisti della storia fossero un lui e una lei in procinto di festeggiare un San Valentino speciale, e che lui le avesse fatto un invito a cena con tanto di rosa per sorprenderla e farla sentire speciale.

Ma cosa c’è di vero dietro a tutto questo? Ben poco a dire il vero, e ormai posso svelarlo.

Non fu il mio compagno di allora a regalarmi quella rosa: l’avevo ricevuta il giorno stesso da un anziano cliente che, in occasione di San Valentino, aveva voluto omaggiare tutte le donne dell’azienda in cui lavoro.

Mancando spesso i momenti di complicità, era stata mia l’idea di prenotare in un ristorante non lontano da casa, che per l’occasione aveva imbandito il locale con fiocchi e tovaglioli a forma di cuore.

Mi feci bella (o almeno ci provai), e avrei davvero voluto che quella serata fosse speciale, diversa dal tipo “cena-film-pigiama” di tutte le sere, ma il risultato fu disastroso su tutti i fronti.

Il mio ex non fu molto felice della proposta, ma si adattò e acconsentì ad andare al ristorante. Visto che l’idea era stata mia, pagai la cena nonostante fossi assolutamente insoddisfatta: non ero riuscita a mangiare il piatto che avevo ordinato da tanto era cattivo, e i momenti di silenzio erano stati molti. Nessun “come sei bella stasera”, nessuna risata complice, nessuna conversazioni interessante. La serata si concluse con aspre critiche nei confronti del ristorante che si estesero alla falsità della giornata di San Valentino.

E’ incredibile, col senno di poi, rendersi conto di quanto possiamo essere abili nel modificare e plasmare la realtà a nostro piacimento (senza accorgerci che a volte è anche a nostro discapito). Che per gli altri quella storia che avevo imbastito fosse vera o no, non era importante: la stavo creando per me stessa, per auto-convincermi che la mia vita fosse favolosa e assolutamente invidiabile.

Le mie storie, quelle che inconsapevolmente costruivo nella mia testa e che spacciavo per reali, convincevano le persone che avevo intorno tanto che mi convinsi corrispondessero a verità. E’ sconcertante comprendere a pieno quanto l’apparire sia diventato fondamentale e quanta priorità abbia su ogni altro aspetto della nostra vita.

Da qualche tempo per me non è più così in realtà, ma non ho impiegato meno di 30 anni per capire, al contrario, quando poco conti nella scala dei valori di un individuo.

E quindi diffido sempre di più da chi mette continuamente in luce la propria vita senza mai accennare alle proprie debolezze e ai propri fallimenti. Anche perché, così facendo, nasconde quelle debolezze e quei fallimenti anche ai propri occhi, esattamente come ho fatto io per moltissimi anni.

Ho acquisito questa nuova consapevolezza soltanto dopo una cocente batosta, e mi sono accorta che l’istinto di mostrare le cose belle che mi accadono è quasi sparito; non sento più la necessità di far vedere agli altri se e quanto sono felice: piuttosto custodisco gelosamente ogni risata, ogni sorpresa, ogni momento di felicità.

Probabilmente neanche questo è perfettamente sano, perché non ci trovo assolutamente niente di male nel mostrare la propria felicità; ma so bene che lo faccio per paura. Paura che l’invidia altrui possa nuocermi in qualche modo, paura che mostrare la mia felicità possa in qualche modo portarmela via, paura che mostrare le mie debolezze mi si possa ritorce contro nel caso in cui qualcuno cercasse di approfittarsene, per il proprio tornaconto o semplicemente per deridermi.

Ah…quanta importanza continuo a dare a questi “altri”, gli stessi a cui devo la mia totale mancanza di fiducia in me stessa e nel mondo che mi circonda. Sono fiduciosa che prima o poi imparerò a fare a meno di loro, o almeno della maggior parte di loro, per dar valore soltanto a me stessa e alle persone che mi amano e che amo.

 

 

 

E’ solo una foto

20151006_113009 copia Ricordo questo momento perfettamente.

Era il 2015 e mi trovato in Polinesia, a Bora Bora, e più precisamente su una delle spiagge considerate tra le più belle al mondo, Matira.

Ovviamente non ero sola, ma era come se lo fossi. E questa foto, ritrovata per caso in una cartella del pc che non aprivo da anni, mi ha riportato alla mente quel periodo in cui mi convincevo di star bene e allo stesso tempo cercavo di convincere anche le persone intorno a me. Se gli altri avessero visto quanto ero felice, non sarebbe potuto essere vero il contrario. D’altronde avevo tutto ciò che avevo sempre desiderato, cosa mai poteva mancarmi?

E’ impressionante quanto una foto, un oggetto o un piccolo frammento possano travolgerti nel momento esatto in cui ti ci imbatti. Non hai il tempo di pensare o di decidere: è un attimo e sei già nel luogo dove magari vorresti tornare, oppure dove non vorresti essere stato mai.

Ricordo che i selfie iniziavano ad andare di moda, ma che allo stesso tempo mi creavano imbarazzo: quanto ego sconsiderato in una persona che non fa che scattare foto di se stessa? Quindi non volevo che sembrasse un selfie; piuttosto avrei voluto che la gente pensasse che avevo un compagno di viaggio che non poteva fare a meno di immortalarmi in foto bellissime con paesaggi mozzafiato come sottofondo. La realtà però  era ben diversa: ero io la fotografa ufficiale, e l’obiettivo non faceva altro che passare da lui al paesaggio, dal paesaggio a lui. Chissà se se ne rendeva conto? Ormai non ha più importanza, o forse per me ne ha, perché finalmente sto provando cosa significa stare anche dall’altra parte della barricata: per quanto mi imbarazzi stare in posa o rivedermi fissata sulla pellicola, sento tutta l’importanza delle parole “ferma lì, voglio farti una foto”. E non è per la foto in sé, ne per quello che poi ne faremo. E’ per l’importanza di quel momento, di quell’attimo in cui ci stiamo dicendo:”è un paesaggio bellissimo, ma se ci sei tu lo è ancora di più”, oppure “voglio fare un video proprio adesso, mentre stiamo ridendo insieme, perché è un momento che voglio rivedere e custodire per sempre”.

Che poi quella foto o quel video non li veda nessun altro all’infuori di noi, poco importa.

Se a qualcuno non interessa immortalare con noi i momenti più belli, è il caso di domandarsi il perché?

Non lo so, probabilmente è soltanto una sciocchezza priva di fondamento, ma sotto sotto credo che qualcosa di vero ci sia.