Quando ero un cane

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Da qualche anno conosco una ragazza che ha aperto un canale YouTube su cui le piace recensire libri, parlare di film e serie tv, e condividere la propria vita privata. Non l’ho mai seguita troppo assiduamente semplicemente perché ho poco tempo libero a disposizione e non mi piace passarlo tutto su Internet. Ma ogni tanto mi piace andare a sbirciare qualche sua recensione perché riesce sempre a strapparmi un sorriso. Però, nonostante io non abbia modo di seguirla quotidianamente, mi sono accorta che da qualche tempo qualcosa in lei era cambiato. A conferma dei miei sospetti, tramite le stories di Instagram sono venuta a sapere che era partita per u posto lontano, pubblicando il video “Come ricominciare”. E quel video mi ha colpito a tal punto che ho avuto voglia di contattarla, di dirle che mi sentivo vicina a lei come mai prima, che le parole che aveva pronunciato potevo averle dette io stessa. Così ci siamo scambiate il numero di telefono e abbiamo condiviso le nostre vicissitudini. Ma i tempi erano discordanti: io ne ero praticamente uscita, lei c’era ancora dentro. La storia è quella di sempre: la vita di una ragazza legata saldamente a quella di un’altra persona, la persona in questione che decide di lasciarla perché non la ama più, lei che non sa che pesci pigliare e aspetta che lui rinsavisca e torni da lei.

La trama che sta alla base delle nostre due storie, è praticamente identica: racconta di una ragazza che soffre, ma che al contempo è fermamente convinta che la persona che ha accanto sia quella giusta. Allora aspetta: aspetta che anche lui si renda conto di quanto è speciale quello che hanno. Lei sa che starà male, che soffrirà durante l’attesa, ma lo ama troppo per dirgli addio; e quindi passa le giornate a pensare a lui, a ricordare i bei momenti passati insieme e a sperare intensamente che lui torni a far parte di questa favola.

Ascoltare il racconto di questa ragazza, mi ha fatto ricordare gli anni in cui passavo le giornate ed i mesi come un cane alla catena, sotto al temporale, sperando che il mio lui trovasse il tempo per farmi una carezza e giocare un po’ con me. Lo seguivo con lo sguardo, lo guardavo lavorare, entrare e uscire di casa, tagliare l’erba del prato, lavare la macchina, andare a trovare sua madre. Quando arrivava sera, speravo che i suoi impegni smettessero di distogliere la sua attenzione da me, ma era sempre troppo stanco e allora andava a dormire. Avrei voluto che mi portasse con se, che mi ammettesse tra i suoi pensieri e mi rendesse parte dei suoi progetti, ma non lo fece mai. Le poche volte in cui ricevevo una sua carezza, mi sentivo così felice che tutta la tristezza accumulata nell’attesa delle sue attenzioni spariva come per magia. Ogni volta che mi era vicino, lo guardavo con occhi così adoranti che la gente intorno pensava: “dev’essere un padrone veramente amorevole, guarda quel cane come lo guarda!” E lui stesso si convinse di essere un padrone eccezionale, di non dover far altro che continuare così. Se non che, dopo anni passati ad aspettarlo, cominciai a sentire il cuore stanco e pesante. Cominciai ad abbaiare, a farmi sentire, a fargli capire che mi sentivo sola e che le sue carezze sporadiche non erano più abbastanza per me (in realtà, non lo erano mai state). Lui rispondeva sempre:”zitta. A cuccia. Adesso non ho tempo per te”. Passarono le settimane, e il mio abbaiare lo faceva infuriare sempre di più. Era stanco di me, e io cominciai a capire che al di là del mondo pieno d’amore che mi ero costruita nella testa, forse non c’era altro. Dal canto suo, lui si limitò a sgridarmi ogni volta che cercavo di comunicare:”cattivo cane! Smetti di abbaiare! Ho altri problemi a cui pensare! “. Avendo la catena al collo, sapeva che non sarei andata da nessuna parte, e questo lo faceva sentire forte. Ma si sbagliava. Un giorno il mio cuore non ha retto più: la consapevolezza che il mio padrone non mi amasse quanto io amavo lui, mi travolse come un uragano, senza possibilità di ripensamenti. Così, una sera, decisi di andare via, e nell’istante esatto in cui presi questa decisione, mi accorsi che l’altro capo della catena che avevo intorno al collo non era legato a niente. Mi sono sentita così stupida da voler sprofondare. Avevo fatto tutto da sola, con la mia testa e la mia fantasia: tutto quel grande amore era solo nella mia mente; nella realtà corrispondeva poco più che ad un sano rispetto reciproco. Decisi allora che me ne sarei andata e che non avrei mai più avuto nessun altro padrone. Avrei cercato un altro cane, tale e quale a me, con cui condividere giochi e passeggiate; un altro cane a cui accoccolarmi dentro la cuccia durante le notti fredde a cui sapevo la vita mi avrebbe ancora sottoposto.

Spiegai a quella ragazza che dipendere affettivamente da un’altra persona aveva quasi distrutto la mia vita; le dissi che in queste situazioni ci vuole coraggio, e che l’unica cosa che possiamo fare è decidere per noi stessi.

Anche se questo non avrà alleviato il suo dolore, spero che le abbia almeno fatto nascere una riflessione nuova. E’ con noi stessi che dobbiamo fare i conti prima di chiunque altro. La sofferenza non si può evitare, ma possiamo imparare dalle nostre cadute, farne tesoro, ed evitare di soffrire di nuovo per la stessa ragione.

6 pensieri su “Quando ero un cane

    • ilblogsenzafaccia ha detto:

      Ti ringrazio ❤️ Sì, sono sicura che le saranno servite a poco le mie parole, ma volevo più che altro farle capire che da situazioni come questa si può uscire e che non deve sentirsi sola in un momento così delicato. Sapere che in qualsiasi momento puoi chiamare un’altra persona per sfogarti o parlare nei momenti di difficoltà, credo sia una buona cosa. È ovvio che non ti fa stare meglio e non ti risolve la vita, ma dalle difficoltà bisogna uscire con le proprie gambe: al massimo possiamo tenere la mano a qualcuno per sentirci meno soli.

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    • ilblogsenzafaccia ha detto:

      Ti ringrazio ☺️ sì, ho il problema di essere un po’ prolissa quando scrivo….ma devo compensare il fatto di essere molto silenziosa nonostante io sia una donna 😂 È davvero un’altra vita, e sono fiera di me (forse per la seconda volta nella mia vita) per essere riuscita ad essere coraggiosa e darmi la possibilità di essere ancora felice.

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