Quando acqua e cibo non bastano

Probabilmente risulterà strano che scriva qualcosa che non abbia a che fare con questo maledetto Corona Virus, ma credo che tutto quello che c’era da dire sia stato detto, e che adesso non ci resti che ricorrere ad una buona dose di senso civico e cercare di salvare il salvabile. Speriamo che nel giro di poco vada tutto per il meglio.

Ciò di cui volevo scrivere per imprimermelo bene in testa, è semplicemente questo: pensare qualcosa non basta ad interiorizzarla.

Tantissime volte ho parlato della mia infanzia e di quella dei miei fratelli come di un fatto da riderci su.

“A casa nostra non potevamo sbagliare niente, altrimenti erano botte da orbi! Pensa che quando mia madre, girando per casa, ci passava accanto, d’istinto portavamo le mani al viso per proteggerci da uno schiaffo sicuro! E dovevi vedere lei come ne rideva!”. E giù grasse risate.

“Quando con mia sorella combinavamo qualche marachella, ovviamente senza la consapevolezza che lo fosse, e mia madre lo veniva a sapere, ce le dava di santa ragione, e dopo averci picchiato ben bene prometteva che lo avrebbe detto al babbo, che al suo rientro ce le avrebbe date a sua volta. E ci fosse una volta che non manteneva la promessa!”. E giù altre grasse risate.

Soltanto adesso che sono grande mi sono resa conto di aver dovuto raschiare l’affetto dalle pareti di un barile quasi vuoto, tanto che ricordo una me quindicenne che scriveva sul suo diario segreto:

“ieri sera siamo tornati da Napoli e io, come sempre, dormivo già da qualche ora. Quando la macchina si è fermata sotto casa me ne sono accorta appena, ma avevo così tanto sonno che ho continuato a far finta di dormire. In realtà dentro di me speravo che babbo mi prendesse in braccio per portarmi a dormire. Ne’ lui ne mamma ci abbracciano mai.”

E oggi raccontando questo episodio ad una persona, mi sono ritrovata a piangere e singhiozzare forte come non mi capitava da tempo. E’ qualcosa che è avvenuto più di quindici anni fa, che ricordo perfettamente e che non mi aveva mai suscitato reazioni di alcun tipo.

Eppure oggi mi sono resa conto che ricordarlo non è raccontarlo: riviverlo a voce alta mi ha catapultato indietro nel tempo a quella macchina e a quell’età, a quella lunga parentesi infelice che è stata la mia infanzia. Avevo acqua, cibo, una casa. Ma questi non sono gli unici beni di primaria necessità. Sicuramente avrei avuto bisogno di essere nutrita con cose che non si possono comprare: il calore di un abbraccio, la tenerezza di un bacio o di una carezza, l’importanza di un complimento. Io sulla mia pelle di bambina non li ho mai provati, e adesso che sono grande evidentemente ho un vuoto incolmabile che non posso continuare ad ignorare.

Addirittura la scienza mi dà ragione, con esperimenti comprovati fatti in materia di attaccamento. Mi è rimasto impresso l’esperimento che mi hanno raccontato e che porta la firma di Harry Harlow. Lo scienziato decise di testare sui macachi (per molti aspetti simili all’uomo), l’importanza della protezione: nel giro di tre anni, più di 60 piccoli di macaco vennero separati dalla madre a 6-12 ore dalla nascita e allevati con latte artificiale contenente sostanze nutritive adeguate per essere osservati e studiati.

Nella stessa gabbia, erano stati messi dei pezzi di stoffa al fine di rendere il loro habitat più confortevole: ogni qualvolta i panni venivano rimossi per essere lavati, i macachi protestavano, si arrabbiavano e diventano violenti. Di fronte a questi dati, lo studioso costruì una madre surrogata composta da un’anima di legno ricoperta da un panno caldo. Nella gabbia venne riposta anche una sagoma del tutto identica, solo non ricoperta con il panno, dotata di un meccanismo atto a nutrire i piccoli.  Harlow si accorse che i piccoli tendevano a passare la maggior parte del tempo con la loro “mamma morbida”, calda e accogliente, spostandosi verso l’altra figura solo il tempo necessario a nutrirsi.

esperimento di Harlow

Come quei macachi, anche io mi rifugiavo nei complimenti di persone esterne alla mia famiglia, nelle storie dei libri che leggevo e nel calore delle poesie che scrivevo. Attingevo cibo e acqua da casa mia, per poi cercare altrove una ‘coccola’ che mi facesse sentire protetta. Evidentemente, vista la reazione spropositata che ho avuto oggi, i miei sforzi non sono stati sufficienti.

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