Le 5 ferite emotive: come guarirle

E’ interessante capire da dove vengono determinati comportamenti e modi di pensare che credevamo solo nostri, e scoprire che invece abbiamo molti tratti comuni a chi indossa le nostre stesse maschere per le nostre stesse ferite.

Una volta appurato che qualche ferita, anche se piccola, ce la portiamo dentro tutti, il passo successivo è capire come guarire da queste ferite.

Nel suo libro “Le 5 ferite e come guarirle”, l’autrice Lise Bourbeau da’ qualche indicazione di massima che vi vado subito a riassumere.

La prima tappa per guarire una ferita consiste nel riconoscerla e nell’accettarla. Accettare significa guardarla, osservarla, sapendo che il fatto di avere ancora qualcosa da risolvere fa parte dell’esperienza dell’essere umano. Nessuna trasformazione è possibile senza accettazione. Nel caso in cui  ancora non siamo stati capaci di riconoscere le ferite che ci hanno fatto (e tutt’ora ci fanno) soffrire, ci basterà far caso a ciò che non accettiamo negli altri: corriponderà esattamente a quelle parti di noi che non vogliamo vedere per paura di doverlo ammettere e guarire.

L’ego fa tutto il possibile per non farci rivivere le nostre ferite, perchè teme che non saremo in grado di gestire il dolore che ne deriverà. D’altronde è stato proprio l’ego a convincerci a creare le maschere allo scopo di evitarci la sofferenza. L’ego crede sempre di prendere la strada più facile, ma in realtà ci complica la vita, e più aspettiamo a risolvere le ferite, più queste si aggraveranno e più avremo paura di toccarle, dando vita ad un circolo vizioso che solo noi potremo interrompere con la consapevolezza e l’accettazione. Dobbiamo prendere coscienza del fatto che tutti comportamenti associati a una data maschera, sono soltanto delle reazioni legate alla “difesa”, e non hanno niente a che fare con l’amore per noi stessi e al comportamento che sarebbe in realtà più giusto adottare per il nostro benessere.

La seconda tappa consiste nell’accettare la nostra responsabilità, smettendo di accusare gli altri per le nostre sofferenze.

Un altro modo per capire a fondo le ferite che ci portiamo dentro, consiste nell’interrogarsi sul rapporto che abbiamo con gli altri: più queste ferite fanno male, più proveremo risentimento per il genitore che riteniamo responsabile di avercele imposte; dunque, in seguito, trasferiremo l’odio e il reancore sulle persone dello stesso sesso del genitore accusato di averci fatto del male. La Bourbeau spiega infatti che le ferite non potranno guarire se non in presenza di un vero perdono nei confronti di noi stessi e dei nostri genitori.

Questa terza tappa si basa sull’idea che al mondo non ci sono cattivi, ma soltanto persone sofferenti, e i nostri genitori fanno parte di queste. Non si tratta qui di scusarli, ma di imparare ad avere compassione per loro. D’altronde non sarà condannandoli o accusandoli che li aiuteremo; possiamo avere compassione per lor anche se non siamo d’accordo con quello che fanno grazie alla consapevolezza delle ferite nostre e altrui.

Non si tratta di un percorso semplice, ne’ tanto meno rapido, ma ci accorgeremo di essere ad un buon punto della nostra guarigione quando inizieremo a dirci: “ecco ho indossato questa maschera, ed è per questa ragione che ho reagito in questo modo”.

E’ essenziale capire che la fonte del nostro benessere sta in ciò che siamo e facciamo, e non nei complimenti, nella gratitudine, nei riconoscimenti e nel sostegno che ci vengono dall’esterno: l’autonomia affettiva è la capacità di sapere ciò che vogliamo e di fare le azioni necessarie per concretizzarlo, e quando abbiamo bisogno di aiuto sappiamo chiederlo senza troppi problemi.

Per velocizzare questo processo di guarigione, è fondamentale smettere di alimentare le proprie ferite per quanto possibile: bisogna smettere di darsi degli incompetenti, dei buoni a nulla, degli inutili, e soprattutto smettere di fuggire dalle situazioni che ci fanno paura. E’ essenziale provare ad affrontarle e capire quanto le nostre reazioni siano dettate dalle maschere che indossiamo. A quel punto dovremo perdonarci, e concederci di aver potuto usare una maschera, sapendo che in quel momento credevevamo davvero che fosse l’unico modo per proteggerci.

La quarta tappa, infine, sarà quella in cui torneremo ad essere noi stessi, in cui sentiremo di non avere più bisogno di indossare delle maschere che ci proteggano. Questo non è altro che un modo per descrivere l’AMORE PER SE STESSI. Amarci è concederci talvolta di ferire gli altri rifiutandoli, abbandonandoli, umiliandoli, tradendoli o essendo ingiusti con loro, sebbene non lo facciamo di proposito. Questa è la più importante delle tappe per guarire le nostre ferite. D’altronde scopriremo che più ci consentiremo di tradire, rifiutare, abbandonare, umiliare ed essere ingiusti, meno lo faremo. Concedendo a noi stessi di fare agli altri ciò che temiamo di vivere (al punto da aver creato una o più maschere per proteggerci), ci sarà molto più facile concedere anche agli altri di agire nell’identico modo e di avere, a volte, dei comportamenti che risvegliano le nostre ferite.

 Come consiglio pratico, la scrittrice consiglia di fare un bilancio alla fine di ogni giornata, in cui ci si domanda quali maschere abbiano preso il sopravvento inducendoci a reagire in un determinato modo, sia nei confronti degli altri che di noi stessi.

Il ibro si conclude con la poesia dello svedese Hjalmar Söderberg:

Tutti vogliamo essere amati,

se questo non accade, essere ammirati,

se questo non accade, essere temuti,

se questo non accade essere odiati e disprezzati.

Vogliamo risvegliare un’emozione nell’altro, quale che sia.

L’anima rabbrividisce davanti al vuoto e cerca il contatto a qualsiasi prezzo.

 

Piacere di conoscerti

Questi giorni di festa, sono stati per me giorni di silenzio. Ho tirato le somme di un anno che è stato tanto catastrofico quanto meraviglioso.

È cominciato con la morte di una donna che è stata per me come una madre, ed è proseguito con la decisione di mandare all’aria la mia vita di prima con tutte le sue sicurezze, col divorzio, con l’inganno di quelli che un tempo chiamavo amici. Quante lacrime ho versato; un mare di tristezza solcato da onde rabbiose, furenti, che non hanno lasciato scampo a nessuno. Men che meno a me stessa.

Quando ho riaperto gli occhi, ero distesa sulla riva con i vestiti fradici e strappati, la schiuma copriva le mie gambe per poi rifluire in quel vasto mare stranamente calmo dopo tanta bufera. E proprio sul quella riva, ho trovato qualcuno che mai mi sarei aspettata di incontrare.

Guardando in lontananza, l’ho vista arrivare. Mi sembrava una ragazza, anzi una donna; aveva i capelli lunghi e castani, degli occhi scuri e penetranti, e il sorriso soddisfatto di chi è fiero di se. Più si avvicinava, e più mi sembrava di conoscerla. Mi ha porto la sua mano e mi ha aiutata a rialzarmi. Le ho raccontato quello che mi era accaduto, quello che avevo perso, cosa speravo di trovare. Lei mi ha ascoltato in silenzio, senza proferire parola. Poi mi ha detto soltanto:”sei stata molto coraggiosa. Sono fiera di te”. In quel momento mi sono sciolta e ho ricominciato a piangere, talmente tanto che il mondo attorno diventava sempre più offuscato, fino a sparire. Quando i singhiozzi hanno lasciato il posto ad un respiro limpido e sereno, ho finalmente capito chi era quella donna. Ero io. Era la me che mi abitava dentro da sempre ma a cui non avevo mai dato spazio. Ho temuto per anni che avrebbe potuto mettermi in ridicolo, che mi avrebbe fatto perdere le persone che amavo se solo le avessi lasciato fare, che non mi avrebbe permesso di attenermi al rispetto delle aspettative altrui e delle regole sociali.

Ma in quel momento tutto ciò che avevo sempre pensato, si è dissolto come la nebbia quando arriva il sole ad asciugarla. Ho semplicemente sorriso e detto a me stessa:”ti prometto che ce la metterò tutta per non tradirti mai più. D’ora in poi siamo una squadra, e lotterò affinché tu possa esprimerti ed essere felice”.

È così che comincio il nuovo anno. Con la consapevolezza di essermi “ritrovata” (non senza il prezioso aiuto del ragazzo che ho accanto), e con il buon proposito di rendere felice me e le persone che amo. Nient’altro avrà importanza per adesso; il resto del mondo dovrà aspettare ancora un po’, giusto il tempo di prendere confidenza con me stessa e diventare più forte.

Auguro un felice nuovo anno a tutti voi.

Sono un sasso

Heart-Stones

Nella mia estenuante ricerca del percorso giusto per ritrovare la mia autostima, mi diverto ogni tanto a fare qualche test di valutazione che mi dia il polso dello stato dei miei miglioramenti. A patto che ce ne siano stati. E giusto ieri, la risposta di uno di questi test mi ha letteralmente fatto sbellicare dalle risate. So che il fine del test non era esattamente e quello, ma un sorriso inaspettato è comunque un bel regalo se in fondo alla giornata si fa un resoconto delle cose negative e di quelle positive.

Il risultato incriminato recitava semplicemente: “Sei un sasso”.

Concorderete con me che, così su due piedi, senza conoscere i dettagli, è una risposta che può suscitare un po’ di ilarità.

Ad ogni modo, stupidità a parte, a rifletterci bene non c’è proprio niente da ridere. Anche perché la didascalia spiegava più dettagliatamente:

“ti vedi come uno dei tanti sassi che si trovano per strada, senza niente di speciale, meno bello degli altri. Dalle risposte che hai dato, sembra che tu non creda molto nelle tue capacità (forse dubiti anche di averne!), ti fai condizionare dal giudizio degli altri o dai risultati che ottieni. Di fronte ai problemi non pensi che ce la farai, ti sembra di non avere capacità, forza, qualità, forse nemmeno fortuna per “vincere” le sfide. Se hai risposto con sincerità a ogni domanda, probabilmente dubiti di essere una persona speciale e di valore. Pensarti come un diamante è fuori discussione, ma non credi nemmeno di essere come una pietra preziosa. Ti senti alla stregua di un semplice, banale e comunissimo sasso”.

Ed è tutto dannatamente vero purtroppo. Visti i risultati odierni, è ovvio che di miglioramenti rispetto al punto di partenza non ce ne siano stati, o che al più siano stati davvero impercettibili.

E niente, so già che dovrò lavorare tantissimo, in primis per trovare il percorso giusto per me (non credo che ne esista uno valido per tutti). Spero solo di riuscirci a breve, e di fare almeno qualche passetto avanti verso l’amore per me.

Ringrazio chiunque avesse consiglio o un’indicazione da darmi 😉

Mi innamoro degli altri ma non di me

l'amore di se piccolo

È un classico. La volta in cui sei convinta che qualcosa sia assolutamente semplice e a portata di mano, puoi star sicura che tutto quello che avevi immaginato andrà a scatafascio e non saprai neanche tu il perché.

È un po’ come avere una nuvoletta di Fantozzi sulla testa, pronta a far piovere e tuonare in un battibaleno nell’istante in cui metti un piedino nell’acqua dopo un anno che non vedevi il mare. Il fatto che questa nuvoletta mi intralci per questioni di poco conto, non mi causa neanche troppi scompensi. Il problema si fa reale quando ho a che fare con le grandi “questioni” della vita, quelle che la vita possono rendertela migliore o assolutamente terrificante.

La questione che mi affligge e mi vede combattere ormai da anni è questa: fin da quando sono piccola, sono stata bombardata da insistenti inviti all’amore per me stessa e per il prossimo; dal catechismo, alla scuola, ai cartoni animati in tv, era un continuo inneggiare all’amore per il mondo in tutta la sua completezza, senza distinzioni di specie, peso, religione e colore della pelle. Davo quindi per scontato che, essendo io l’unica padrona di me stessa, non avrei avuto il benché minimo problema ad amarmi; avrei addirittura potuto costringermi con la forza se non fossi riuscita a farlo spontaneamente.  Ma ovviamente le mie rosee aspettative sono state stroncate, ormai da parecchio tempo, e sono ancora qui a cercare un perché, prima ancora che una soluzione.

Le poche volte in cui mi sono invaghita di qualcuno, sulle prime mi sono lasciata affascinare da un certo modo di ragionare, da una caratteristica fisica particolare o dalla simpatia; ma mi sono accorta che, col passare del tempo, è proprio dei difetti che finisco per innamorarmi perdutamente. Sarà colpa del mio spirito da inguaribile crocerossina.

Mi scopro a cercare nell’altro le sue debolezze, a prenderle tra le braccia a cullarle tenendole strette a me, sussurrandogli piano: “non preoccupatevi, non date peso a ciò che dice la gente. Essere così imperfette fa di voi qualcosa di unico; non permettete mai al mondo di cambiarvi”.

E allora mi domando: visto che io di difetti ne ho a bizzeffe, e so pure da dove derivano, come mai non riesco ad accettarli neanche minimamente?

Sono capace, in capo ad una giornata, di offendermi talmente tante volte da non riuscire a tenere il conto. Quando il mio cervello entra in loop, sono in grado di intristirmi continuamente per la stessa cosa, dopo essermi detta, ogni volta, che è una ragione stupida per rovinarsi anche un solo attimo della giornata.

Ecco qualche esempio di sfiancante teatrino interiore a cui sono costretta ad assistere in ogni momento della mia vita:

  • Dato di fatto oggettivo: “Spesso sono sbadata e combino qualche guaio.”

La me distruttrice: “Sei un’idiota. Cosa ti costerebbe mettere un po’ più di attenzione nelle cose che fai? Non è complicato! Ma tanto non imparerai mai.”

La me positiva: “E che sarà mai?! La prossima volta farò più attenzione. Imparerò da questo errore e diventerò più forte”.

La me distruttrice: “Lo sai benissimo che non imparerai, e che la prossima volta sarà un’altra la cosa a cui non farai attenzione. Ti sarebbe sufficiente ragionare un po’ di più prima di agire.  Ma tu no, devi partire in quarta ogni volta! Non è che magari, anche ragionandoci, non ci arriveresti comunque? Sì, forse è questo il problema. Non ci arrivi proprio, neanche se ti ci metti di impegno!”.

  • Dato di fatto oggettivo: “Non ho esattamente un fisico da modella. Ho le cosce grosse, i fianchi larghi, delle gambe non proprio affusolate”.

La me distruttrice: “Guardati. Sei una balena. Ma che ti costa mangiare meno? Che poi i vestiti non ti stanno più e ogni volta che ti guardi allo specchio ti fai schifo da sola.”

La me positiva: “sì, probabilmente ho su qualche chilo di troppo, ma non sono così grossa. E poi l’aspetto fisico non conta. Tutto sommato non sono poi così male. Sono assolutamente in tempo a cominciare una dieta quando voglio, se non lo faccio è semplicemente perché non ne ho ancora bisogno o semplicemente non è il momento giusto”.

La me distruttrice: “Tutte scuse. Smetti di inventare balle a te stessa! Sai bene che non cominci la dieta perché finiresti per fallire miseramente, come ogni cosa che cominci e poi abbandoni in un niente. Non puoi permetterti un altro fallimento, ti porterebbe a mangiare ancora di più per soffocare la devastazione dei sensi di colpa. E poi non dire stronzate, certo che l’aspetto conta, non sei forte abbastanza da fregartene di ciò che la gente dice e pensa di te”.

Non mi dilungherei ulteriormente sugli esempi, anche se ne avrei a centinaia.

Ciò che vorrei, è fare qualche passetto avanti verso l’amore per me stessa. E ogni tanto lo faccio pure quel passetto avanti; peccato che basti un niente a farmene fare cinque indietro.

Ho addirittura provato a stilare una lista di qualità a cui aggrapparmi nei momenti di sconforto. È stato terribile non trovarne nessuna. Non appena la trovo, la mia parte distruttiva la rade al suolo, come un fungo che infetta tutto quello che tocca.

Forse non è ancora tutto marcio. Forse c’è ancora speranza.