Dopo aver terminato l’ultima (deludente) lettura di “Come fermare il tempo” (di Matt Haig), anziché affidarmi ai consigli di amici e conoscenti ho deciso di raccomandarmi completamente al fato.
Tra gli altri, il mio fidato Kindle mi ha proposto un libro (gratis) che di primo acchito non avrei mai scelto per la sua copertina: “Storia di Lin”, della scrittrice Giuseppina d’Amato di cui onestamente non avevo mai sentito parlare.
Premetto che, per essere stata una lettura “alla cieca”, non è andata poi così male: ho fatto molta più fatica a terminare libri che mi erano stati caldamente consigliati e pubblicizzati.
Ma veniamo al dunque. Il libro racconta, appunto, la storia di Lin, un’adolescente alle prese con le continue metamorfosi tipiche di quell’età, con le difficoltà scolastiche e i primi amori. Lin è una ragazzina taciturna, timida ed introversa; le compagne a scuola la prendono in giro per il suo strambo modo di vestire, e i suoi amici si contano sulle dita di una sola mano. Ah! Dimenticavo di dirvi che Lin non è italiana. Si è trasferita a Brescia con la madre dalla Cina, il paese in cui ha lasciato un padre fantasma e dei nonni amorevoli. Paradossalmente, ciò che aggiunge un pesante velo nero alla sua adolescenza è proprio la lontananza da Zhang Wei, sua madre, che ha deciso di buttarsi a capofitto nel lavoro per garantire alla figlia un futuro migliore di quello che è toccato a lei: se va bene, riescono a vedersi una volta ogni due mesi, e spesso anche quel raro incontro risulta impossibile.
Lin è costretta a vivere da sola e ad arrangiarsi in una Brescia che ancora fatica a definirsi multiculturale. Tutta la sua quotidianità gira intorno a qualche figura di riferimento e alla solitudine, all’incertezza, al senso di impotenza. E saranno proprio questi sentimenti a creare un solco profondo nell’anima e nella vita di Lin, portando un cambiamento repentino ed improvviso da cui non le sarà più possibile tornare indietro.
Ecco cosa mi è piaciuto di questo libro: sicuramente questa storia riesce a mettere l’accento su scorci culturale a cui (forse) normalmente non presteremmo la benché minima attenzione. Trovo che sia importante calarsi nei panni degli altri per arrivare almeno ad intuire vagamente quali siano i suoi trascorsi, le sue difficoltà, le sue aspirazioni. Vestire i panni di qualcun altro ci rende l’altro meno “diverso” e più vicino, e in questo il libro centra pienamente l’obiettivo. Non aspettatevi una storia piena di colpi di scena, perché non ce ne saranno. La storia di Lin potrebbe tranquillamente essere la bella prosa di un trafiletto tratto dal quotidiano locale di qualsiasi città, suscitando lo stesso identico disappunto. Devo confessare che alcuni passaggi mi hanno ridotto in lacrime: in un paio di momenti, la distanza tra me e Lin si è azzerata, tanto che le sue emozioni sembravano mie e viceversa.
Cosa non mi è piaciuto di questo libro: il linguaggio della scrittrice non è sempre fluido e scorrevole; ci sono momenti in cui ho dovuto fare marcia indietro e rileggere una parola se non addirittura un’intera frase per capirne bene il senso. Non perché la sintassi non sia corretta, ma semplicemente perché a volte la scrittrice fa uso di termini “difficili” e pesanti, che potrebbero risultare un po’ ostici per chi non dispone di un lessico molto più che completo. Inoltre ho trovato imbarazzati alcuni passaggi in cui la narratrice tenta di scimmiottare i discorsi di Lin in un italiano stentato e un po’ caricaturale, ricreando la classica “macchietta” ben radicata nella mentalità di noi italiani. Trovo che questi discorsi, anziché palesare le difficoltà di una ragazza in cerca di integrazione, rendano il tutto un po’ troppo improbabile, facendo quasi perdere credibilità all’intera storia.
Grazie per la recensione attenta e obiettiva.
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