Avete mai giocato a “Taboo”?
Per chi non lo conoscesse, si tratta di un gioco in scatola molto simpatico da fare in compagnia (due o più squadre, sempre a coppia di due), in cui a turno una persona deve far indovinare una parola (oggetto, emozione, concetto) al proprio compagno di squadra. Ovviamente le parole non sono scelte a caso, ma stampate su carte da gioco “speciali”. Vince la squadra che indovina più parole nel tempo di una clessidra da 1 minuto. La difficoltà non sta tanto nel poco tempo a disposizione, e neanche nel non poter mimare le parole in questione. Su ogni carta è stampata, in alto, la parola da indovinare; sotto, ci sono altre 5 parole (sinonimi o comunque vocaboli molto affini a quella parola), che non devono assolutamente essere pronunciate. Vi faccio un esempio.
Mettiamo che la parola che dovremo far indovinare al nostro compagno di squadra sia “NONNO”, e che le parole da non pronunciare pena la squalifica siano: “padre, genitore, anziano, nipote, figlio”; cosa vi inventereste? Sarà divertente scoprire come il vostro cervello riesca ad uscire dagli schemi e ad inventarsi nuove strade! Ad esempio potremmo dire:”quello di Heidi viveva in una casa in montagna”. Oppure ancora :”è il nome di una coppa gelato”. Sicuramente esistono centinaia di altre vie percorribili dall’immaginazione di ciascuno, e il bello è proprio questo.
Oltre che divertente, sembra però anche un gioco abbastanza faticoso se fatto troppo a lungo. Eppure non ci accorgiamo di farlo quotidianamente (e di farlo tutti, da secoli) per tutto ciò che concerne la sfera sessuale. Tutt’oggi l’argomento “sesso” viene difficilmente affrontato in pubblico, e in linea di massima viene toccato soltanto con allusioni e risate sotto ai baffi.
In casa mia, fin da quando ero bambina, di sesso non si è mai parlato apertamente: l’argomento è sempre stato avvolto da un alone di mistero. Ciò che sapevo, e che avrebbe dovuto bastarmi, era che si trattava di qualcosa di sporco, di inaccessibile e che non doveva riguardarmi.
E forse sarebbe stato meglio se davvero non mi fosse riguardato affatto.
Ho sempre avuto il sonno pesante, tanto che una volta cascai dal secondo piano di un letto a castello picchiando forte la testa sul pavimento e lo seppi soltanto al risveglio dai racconti di mia madre. Eppure una notte qualcosa riuscì a svegliarmi. Non appena i sensi si aprirono al mondo, avvertii un rumore ripetitivo, incessante, simile al rumore di uno straccio bagnato che viene sbattuto contro un muro. In sottofondo, gemiti e parole sussurrate (e dopo un po’ neanche più troppo sussurrate) che non riuscivo a decifrare. Non ricordo cosa provai quella notte, ma certamente cominciai a capire che era proprio di notte, e (non sempre) sotto voce, che i miei genitori facevano in gran segreto quella cosa chiamata “sesso”.
A quel tempo avrò avuto si e no 6 anni, e fino a che i miei genitori (11 anni dopo) non si separarono, mi capitò spesso di svegliarmi senza motivo nel bel mezzo della notte con la giugulare che pulsava come se improvvisamente il flusso del sangue fosse aumentato, e con una sorta di torpore che mi percorreva il corpo fino in fondo alle gambe. E ogni volta, non appena i miei sensi riuscivano ad aprirsi al mondo circostante, ecco di nuovo quel rumore ripetitivo di straccio bagnato, ecco di nuovo gli stessi gemiti e le stesse frasi “sporche”. Stavo male, ed era un male sia fisico che mentale. Poi finalmente arrivava il rumore della chiave nella toppa a mettere fine a quel supplizio: qualcuno andava in bagno, e dopo poco ne usciva per permettere anche all’altro di entrare.
Ma forse la parte peggiore era l’attesa. Avevo imparato a carpire i “segnali” del sesso, il che mi lasciava presagire una nottata che sarebbe stata tutt’altro che serena. Sì perché dopo la fine di ogni amplesso, continuavo a rimanere prigioniera di un corpo che reagiva in modo sempre più strano a qualcosa che ormai conosceva da anni. Il battito del cuore diventava rapido e assordante, e il torpore si concentrava nella parte bassa della pancia, divenendo più pungente.
Di solito la mia disperazione cominciava all’ora di cena, quando vedevo mio padre riempire un bicchiere di vino bianco frizzante sia per lui che per mia madre. Si guardavano in “quel” modo che avevo imparato a riconoscere, si dicevano cose sotto voce, e quando noi figli andavamo a letto mio padre passava in rassegna le stanze, chiudeva le nostre porte (che normalmente restavano aperte) e poi chiudeva anche la loro, a chiave. Quella chiave che girava nella toppa era contemporaneamente il segnale d’inizio della mia angoscia prima, e segnale della fine dopo.
Quando avevo circa 15 anni, il rapporto tra i miei genitori cominciò a sgretolarsi sotto il peso del tempo e di responsabilità a cui non sapevano più far fronte. Non vi nego che da una parte ne fui felice, perché speravo che i loro incontri amorosi sarebbero spariti per sempre.
Come se tutto quello che avevo sopportato fino ad allora non fosse stato abbastanza, la situazione peggiorò. Una mattina scesi in cucina per preparare la colazione, e trovai un giornalino porno (esistono ancora?) aperto, gettato sul pavimento della cucina davanti al divano. Poi trovai nel gabinetto una diapositiva che ritraeva un pene. Supposi si trattasse di quello di mio padre, e ne ebbi la conferma quando mi affacciai nella camera dei miei genitori e trovai uno dei miei fratelli più piccoli (che al tempo non aveva ancora 3 anni) circondato da diapositive inequivocabili di parti intime e cetrioli che entravano in luoghi diversi dalla bocca.
Non so perché il mio corpo e la mia mente prendessero così male un qualcosa di così naturale: forse perché erano i miei genitori a farlo, o forse proprio perché si trattava di un argomento che era sempre stato tabù, qualcosa di scottante e sporco (così ci insegnarono), a cui noi figlie femmine, a sentire mio padre, non avremmo mai dovuto avvicinarci. Niente era detto apertamente, questo è ovvio. Ma tra le righe tutto era invece chiarissimo. Talmente chiaro che quando i miei scoprirono che avevo fatto l’amore con un ragazzo, mi lasciarono riversa a terra, in pigiama, con gli occhi totalmente accecati dalle lacrime e molti lividi nella pancia, sul naso e sulle gambe.
Adesso che ormai ho fatto mio l’argomento che tanto mi ha pietrificato e repulso durante gli anni della mia infanzia e della mia adolescenza, dovrei essere più serena a riguardo. E invece mi sento pervadere dallo stesso fortissimo senso di disagio ogni volta che i vicini di casa o la tv mi rimandano quegli stessi rumori molesti, quegli stessi gemiti, quegli stessi sussurri. In quei momenti vorrei gridare, o semplicemente sparire, e vorrei che i miei genitori non mi avessero a tal punto traumatizzata.
Ricordo che una volta scrissi una lettera che lasciai in bella vista sul loro letto. Non ricordo precisamente cosa ci fosse scritto, ma il senso generale rimandava ad una specifica richiesta: per favore, potreste stare più attenti e non costringerci (parlavo al plurale includendo anche i miei fratelli, pur non sapendo se a loro capitasse la stessa cosa) ad assistere ad ogni vostro amplesso? Non ebbi mai alcuna risposta, e niente nelle loro abitudini variò minimamente.
Credo che questa sia la terza volta che mi capita di raccontare questo aspetto della mia vita passata. La prima volta che l’ho fatto, non con poca vergogna, mi è stato risposto: “è qualcosa che può capitare, non ne farei un dramma. Sono cose naturali, d’altronde anche i tuoi genitori avevano le loro esigenze”. La seconda volta, invece, mi è stato risposto:”per fortuna non mi è mai capitato di sentire i miei genitori in quei frangenti, eppure avevamo le camere una di fronte all’altra. Immagino che non debba essere stato piacevole per te”.
E voi cosa mi rispondereste?
Vorrei davvero saperlo, perché mi sento combattuta tra:
- sei tu ad essere strana. Il sesso è qualcosa di normale che anche i tuoi genitori avevano bisogno di fare. Probabilmente sei troppo sensibile e ne stai facendo un dramma. E’ capitato a tutti.
Oppure
- i tuoi genitori avrebbero dovuto fare più attenzione, non è giusto che i figli debbano essere costretti ad assistere agli amplessi dei propri genitori. Non hanno avuto rispetto per te.
Razionalmente vorrei incolpare loro, sentirmi dire che sono stata una povera vittima; inconsciamente mi sento io quella sbagliata, quella che non avrebbe dovuto lamentarsi, quella che avrebbe dovuto “starne fuori” e che invece si è voluta impicciare in qualcosa che non la riguardava minimamente.
Vorrei salvarmi da questa lotta intestina che non mi permette di affrontare il sesso con serenità, ma contemporaneamente temo che dovrò rassegnarmi a sopportarla per sempre.
il primo pensiero in risposta è stato: per fortuna esiste internet perchè permette, con la distanza e con questo sipario tra i volti, di parlare più liberamente. E parlarne è un po’ liberarsi delle proprie paure, delle proprie ossessioni. L’infanzia è irta di ostacoli e di episodi che possono lasciare il segno. Solo guardando questi segni rimasti come hai fatto tu oggi li si può rendere meno invadenti.
e poi un pensiero collaterale: se per caso hai figli ora ti trovi dall’altra parte della barricate e sono convinto che affronti (o affronterai) con loro la cosa in maniera diversa dai tuoi genitori 🙂
ml
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